E’ nu brave uajàune ... sàule c'ha 'ccese lu patre e la mamme
SAN SALVO | Prima di essere ristrutturato e gestito senza più consentire il gioco delle carte, il vecchio Bar Roma, nel vecchio centro di San Salvo, era frequentato da alcuni maturi e saggi agricoltori
(alcuni dei quali, ora ultra ottantenni, spesso vengono intervistati da San Salvo antica). Costoro, per indicare un ragazzo un po’ furbetto, dicevano in dialetto sansalvese: “E’ un bravo ragazzo, solo (intendendo, l’unica cosa di male che ha fatto è…) che ha ucciso il padre e la madre”. Ovviamente quei signori non avrebbero mai immaginato che qualche anno da quell’abituale modo di dire, “un bravo ragazzo” della bassa ferrarese (a pochi chilometri dalla Coferasta, con cui gli stessi commerciavano le pesche) avrebbe ucciso per davvero i propri genitori. E in modo freddo, premeditato, avvalendosi dell’aiuto di un coetaneo, che l’ha fatto “per amicizia”. Praticamente la realtà ha superato la fantasia. Mentre leggevo il pertinente editoriale di Antonio Polito di questo triste fatto di cronaca, sul Corriere di oggi, ho ricevuto un sms con cui un insegnante della mia età mi comunicava il suo impegno di questo sabato: uccidere il maiale e prepararne i tagli e le carni da stagionare.
Quel messaggio (che apparentemente con ciò che stavo leggendo c’entrava come i cavoli a merenda) mi ha fatto ripensare alla mia adolescenza ed ai relativi tormenti. Francamente, però, non mi sono tornati alla mente parricidi simili di quel periodo. Non che trenta o quarant’anni fa non ci fossero efferatezze o che la società fosse poco violenta. C’erano i sequestri di persona, il terrorismo e la mafia pure allora, ma mattanze di genitori non se ne sentivano. E forse non se ne sentivano (e qui torna l’unica mattanza che eravamo abituati a praticare: quella dei suini...con cadenza annuale) perché i nostri genitori ci trasmettevano rituali (come l’ammazzamento del maiale), tradizioni, saperi, valori che erano stati trasmessi dai loro genitori e che rappresentavano, nel processo di socializzazione intergenerazionale, la cornice del vissuto di tutti.
Nella cosiddetta società semplice (di cui forse la mia generazione è stata l’ultimo prodotto) la famiglia era la prima agenzia formativa, sostanzialmente alleata con la scuola (“Maestro se ti fa arrabbiare mio figlio, tiragli pure due schiaffi” era la delega dei genitori ai docenti), a cui si affiancavano pochi altri contesti: la parrocchia, i partiti, il gruppo dei pari e i luoghi di lavoro. Tutti con la stessa mission: tirarci su con rispetto verso chi sapeva più di noi, ci stava prima di noi o contava più di noi. C’erano delle esagerazioni che portavano all’ autoritarismo ed è stato giusto combatterle, ma purtroppo abbiamo finito per buttare il bambino con l’ acqua sporca. Adesso si è passati al “Maestro se tocchi mio figlio, ti denuncio”, una minaccia che fa scattare una specie di didattica difensiva; i partiti non esistono più; i gruppi dei pari hanno perso la dimensione dello spazio, perché uno le relazioni se le può creare o tenere anche con coetanei d’oltreoceano; i luoghi di lavoro non ci sono più per i giovani (perché uno su due è disoccupato), ma soprattutto il lavoro non è più motivante.
Chiediamoci: cosa è motivante oggi per i nostri ragazzi ? Cosa li emoziona ? Verso cosa indirizzano la propria autostima ? Potremmo chiudere, come la Borsa: per “eccesso di rialzo”. Oggi sono tante le motivazioni e le emozioni dei giovani che ciascuno se le cerca di vivere come, dove e quando vuole nella incomprensione assordante degli adulti. Sono tante, liquide e durano pochissimo. Per questo hanno sempre bisogno di essere rinnovate, anche attraverso alcol, droga e sesso facile. E’ chiaro che nella società di oggi ipertecnologica, più che complessa, col mercato che costruisce emozioni quotidiane pur di vendere, se due poveri genitori, come quelli di Ferrara, ripetono al figlio “Pensa a studiare” (che a me i miei me l’avranno ripetuto migliaia di volte) il ragazzo (viziato ed affogato in questo vissuto liquido, superficiale e così pieno che però non lo riempie ma lo isola) trova le scorciatoie drogandosi ed ubriacandosi ed arriva pure ad uccidere la mamma ed il padre. Ho chiesto ad una dirigente scolastica cosa pensasse di questo duplice omicidio. Mi ha risposto: “Siamo tutti responsabile se nei ragazzi manca il senso di colpa, il valore della vita. Dobbiamo educare l’ Uomo, ricominciare ad incontrare l’altro, stabilire relazioni autentiche”. E’ senz’altro così. Per capire i ragazzi, per interessarli, per saper competere con gli altri costruttori di dimensioni, magari con l’ausilio di chi può insegnare a capire lo sguardo e l’ascolto, ci vogliono relazioni autentiche. Ma anzitutto tra famiglie, scuole e gli altri attori sociali. Evidentemente oggi proprio così non è.
Orazio Di Stefano
Commenti
accontentiamo in tutto, a 6 anni non si deve regalare un Ifone perchè l'amico già ce l'ha. Provate a dire anche NO !!!!. Le ossa del bambino si costruiscono in casa,nell'ambiente familiare.Non volevo essere cattivo verso i bambini,bensì criticare l'operato dei nuovi genitori.
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