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Agli agricoltori ed ai cittadini interessa poco o nulla del metodo di caccia al cinghiale. L’importante è limitarne il numero e ridurre danni e pericolosità

CUPELLO | Faccio una riflessione a voce alta, pubblica e da cittadino rispetto al dibattito che si è acceso sul metodo di caccia al cinghiale e di quanto questo aiuti a diminuirne il numero  nel territorio.

 

Non è disinteresse il mio; tutt’altro è una discussione accademica che volentieri lascio a chi è esperto in materia ma rilancio a tutti i soggetti pubblici e privati della “filiera degli interessi”, che dovrebbero essere convergenti, su cosa è possibile fare subito ed in concreto per ridurre drasticamente l’alto ed intollerabile numero presenti nel territorio e come realizzarlo nei tempi più brevi e rapidi possibili.

Troppe chiacchiere sono state e vengono fatte sul nulla, fiumi d’inchiostro su analisi e belle intenzioni su come intervenire è stato speso, infinite ed innumerevoli riunioni si sono tenute dove poco o niente di concreto è stato sinora deciso.

Il problema rimane tutto nella sua drammaticità attualmente attenuato solo dalla stagione venatoria in corso che riduce naturalmente il numero e la pressione a causa delle decine e decine di abbattimenti che avvengono con cadenza quotidiana.

Alla fine saranno migliaia i capi abbattuti ma il problema rimarrà e si riproporrà in tutta la sua gravità.

Più volte personalmente ho asserito e sostenuto che tutte le iniziative concrete tese a contenere numericamente i cinghiali sono utili ma sono sempre e solo paliativi.

Per una soluzione radicale e duratura è necessario il concorso di tutti: cacciatori, ambientalisti, agricoltori ed istituzioni ad ogni livello.

E’ necessario che il mondo ambientalista si apra alla possibilità di far catturare ed abbattere questi selvatici che si nascondono nelle ampie aree di riserva da loro gestite e tutelate, è scontato che i cacciatori e gli ATC siano parte attiva nell’operosa azione di cattura ed abbattimento e che la loro azione sia anche remunerata, è normale che gli agricoltori e i loro rappresentanti abbiano un maggiore spazio di protagonismo vero sia nella gestione del territorio che di governo negli ATC per far sì che l’agricoltura sia posta al centro degli interessi  non solo a parole, le istituzioni ad ogni livello e nel rispetto delle funzioni previste attivino tutte le iniziative utili sia per muovere azioni concrete ed utili a ridurre drasticamente  il numero che creare le condizioni perché il cinghiale da problema diventi opportunità di lavoro e reddito.

A monte di tutto questo vanno velocizzate le procedure per ridisegnare un nuovo e più attuale piano faunistico regionale considerata l’obsolescenza di quello vigente risalente al 1992.

Infine, ma solo a livello di pura curiosità e cronaca, bene sarebbe che la regione Abruzzo decida di prorogare la stagione venatoria relativamente alla caccia al cinghiale così come danni fa la limitrofa regione Molise.

Affermare, come mi è stato verbalmente risposto in più d’una circostanza, che la Corte Costituzionale non c’è lo consentirebbe è risibile perché, pongo una domanda banale quanto scontata, la regione Molise non è forse in Italia come l’Abruzzo?

Le regole non sono le stesse per Abruzzo e Molise?

Attendo una risposta chiara ed esaustiva.

Camillo D’Amico