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Roberta Greco, avvocato originaria sansalvese, ottiene uno storico pronunciamento dall' Onu sui diritti umani

Inizio questo articolo, che ho ricavato dalla letteratura specializzata, per dire (immodestamente) che bene abbiamo stiamo facendo a costruire la Rete dei giovani sansalvesi che fuori da San Salvo si stanno affermando nelle professioni e nella vita.

L’ ulteriore dimostrazione, qualora ce n’è fosse stato bisogno ulteriore ci viene da un ‘altra storica sentenza ottenuta da Roberta Greco. Infatti con due decisioni pubblicate il 27 gennaio 2021 nel caso S.A. e altri c. Italia (ricorso n. 3042/2017) e S.A. e altri c. Malta (ricorso n. 3043/2017), il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha affermato la responsabilità “concorrente” di Italia e Malta in relazione al naufragio e successivo annegamento di oltre 200 persone, di cui 60 bambini, avvenuto l’11 ottobre 2013 nelle acque SAR maltesi, ritenendo che i ricorrenti si trovassero nella “giurisdizione” di entrambi gli Stati al momento del drammatico evento e che potessero, dunque, invocare la violazione delle norme del Patto internazionale sui diritti civili e politici (di seguito PIDCP).

Il ricorso al Comitato dei diritti umani era stato presentato nell’interesse di tre cittadini siriani e un cittadino palestinese, assistiti dinanzi al Comitato dei diritti umani dall’Avv. Prof. Andrea Saccucci e dall’Avv. Roberta Greco dello Studio S&P, con la collaborazione della Human Rights & Migration Law Clinic dell’Università di Torino.

Nel ricorso si lamentava la violazione da parte delle autorità italiane e delle autorità maltesi del diritto alla vita dei loro familiari deceduti nel naufragio nonché il mancato svolgimento di un’indagine effettiva e rapida sugli accadimenti e sulle eventuale responsabilità delle persone coinvolte nelle operazioni di salvataggio.

Mentre il ricorso nei confronti di Malta è stato dichiarato inammissibile perché non sarebbero stati esauriti i rimedi interni, il Comitato ha ritenuto ammissibile e accolto nel merito il ricorso nei confronti dell’Italia, riscontrando la violazione dell’art. 6 § 1 PIDCP (che tutela il diritto alla vita) e dell’art. 2 § 3 lett. a) PIDCP (che prevede il diritto ad un rimedio interno effettivo) a causa del colpevole ritardo nelle operazioni di soccorso e nello svolgimento delle indagini sull’accaduto.

Come ormai noto, il primo contatto tra l’imbarcazione in pericolo e l’I-MRCC di Roma è avvenuto tra le 11:00 e le 12:26, mentre la nave Libra della Marina Militare Italiana arrivava sul luogo solo alle ore 18:00, a seguito di un non chiaro e comunque inefficace tentativo di coordinamento con le autorità maltesi, le quali avevano nel frattempo assunto la responsabilità dell’operazione di salvataggio senza però essere in grado di prestare materialmente il soccorso necessario. Da un lato, dunque, le autorità maltesi avevano omesso di intervenire pur avendo l’obbligo giuridico di prestare soccorso nella zona SAR di propria competenza; dall’altro, le autorità italiane avevano indebitamente ritardato il proprio intervento sostitutivo – peraltro sollecitato dalle stesse autorità maltesi – pur avendo la materiale possibilità di salvare le vite dei naufraghi.

La portata decisamente innovativa delle decisioni (ottenute per istanza dello studio legale in cui lavora Roberta) attiene al fatto che il Comitato dei diritti umani ha riconosciuto, per la prima volta, che gli Stati sono vincolati al rispetto dei loro obblighi in materia di protezione del diritto alla vita anche in relazione ad eventi che si verificano al di fuori del proprio territorio o delle proprie acque territoriali o delle proprie imbarcazioni, purché essi siano comunque in grado di esercitare un potere o un controllo effettivo, anche se soltanto potenziale, rispetto ad una situazione di minaccia per la vita delle persone in mare.

Infatti, pur essendo pacifico che il naufragio fosse avvenuto in acque internazionali e che nessuna delle presunte violazioni si fosse verificata a bordo di una nave battente bandiera italiana o maltese, il Comitato ha ritenuto che le vittime del naufragio si trovassero sotto la “giurisdizione” di entrambi gli Stati ai fini dell’applicazione delle norme del Patto internazionale. Mentre per Malta tale conclusione si è fondata sull’assunzione di responsabilità per il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in base alla rilevante normativa internazionale di cui alle Convenzioni SAR e SOLAS, per l’Italia essa ha fatto leva sull’esistenza di una “relazione di speciale dipendenza (…) tra gli individui a bordo della nave in pericolo e l’Italia”.

Nel dettaglio “questa relazione includeva elementi fattuali – in particolare, il contatto iniziale intercorso tra la nave in pericolo con l’MRCC, la stretta vicinanza della ITS Libra alla nave in pericolo e il coinvolgimento continuo del MRCC nell’operazione di salvataggio – nonché pertinenti obblighi legali assunti dall’Italia ai sensi del diritto internazionale del mare, incluso il dovere di rispondere in modo ragionevole alle chiamate di soccorso ai sensi della Convenzione SOLAS e il dovere di cooperare adeguatamente con altri Stati che intraprendono operazioni di soccorso ai sensi della Convenzione internazionale sulla Ricerca e il Salvataggio Marittimo”.

Secondo il Comitato, dunque, “gli individui a bordo della nave in pericolo sono stati direttamente interessati dalle decisioni prese dalle autorità italiane in un modo ragionevolmente prevedibile alla luce dei pertinenti obblighi giuridici in capo all’Italia, (ed) erano quindi soggetti alla giurisdizione italiana ai fini dell’applicazione del Patto, nonostante il fatto che si trovassero all’interno dell’area di ricerca e soccorso maltese e quindi soggetti contemporaneamente alla giurisdizione di Malta”.

L’Italia è stata, dunque, condannata dal Comitato a prestare ai ricorrenti una piena riparazione per la violazione dei loro diritti fondamentali garantiti dal Patto internazionale, “tenendo presente la potenziale responsabilità di altri Stati per lo stesso evento” (e, cioè, la concorrente responsabilità di Malta), nonché ad adottare le misure necessarie a prevenire in futuro violazioni analoghe.

Orazio Di Stefano

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