Recensione. Sergio Morelli, Il sistema in equilibrio. Book Sprint Edizioni, Ariola novembre 2018
È da poche settimane nelle librerie - per i tipi della Book Sprint - "Il sistema in equilibrio", un pregevole saggio di Sergio Morelli, direttore commerciale e gestore di importanti aziende, calabrese di origine ma operante attualmente in Brasile. Un saggio peraltro curato e presentato
dal sansalvese Carlo Colombo Calabria (nato e formatosi nella medesima regione) e che appare rivolto ad un pubblico non di esperti o addetti bensì assai più ampio costituendo una sorta di campanello di allarme per "la drammatica condizione economica" dell'Italia e per i rischi futuri che si corrono anche per la tenuta del tessuto sociale.
Morelli parte dal presupposto che paradossalmente l'Italia è il Paese "più ricco del mondo avendo a disposizione un patrimonio artistico inesauribile (stimato ad un 60% di quello globale, con significative ricadute per il settore turistico) e un risparmio e patrimonio privato delle famiglie (del valore di circa 9.000 miliardi di euro) che si stima come il terzo del mondo in assoluto.
Eppure è un Paese, l'Italia, che oggi non riparte, non crea investimenti e occupazione a sufficienza, appesantito da troppo tempo - oltre un trentennio - da un debito pubblico molto alto (ora di circa 2.325 miliardi di euro), da una tassazione piuttosto pesante (pari al 42,9% del PIL, al 6° posto in OCSE per pressione fiscale), da un cattiva spesa pubblica (in gran parte destinata alla sopravvivenza di amministrazioni e burocrazie di ogni tipo oltre che agli interessi per debiti), da una svendita di significative attività produttive e di servizi a Paesi emergenti. L'autore sostiene che nell'ultimo decennio la responsabilità delle difficoltà dell'Italia sono state addossate - da politica e stampa - di volta in volta principalmente alla globalizzazione dei mercati, alla crisi finanziaria del 2008-2014, all'inadeguatezza dell'intervento dell'Europa e di recente - genericamente - all'eccessivo debito pubblico e alla scarsa crescita economica. Tutte questioni oggettive, reali, ma che non toccherebbero il cuore del problema.
Le tabelle relative ai dati economici dell'Italia ci dicono infatti che il Paese ha affrontato, negli ultimi 150 anni, ben quattro periodi di grave debito pubblico (dopo l'Unità; in coincidenza e dopo le due guerre mondiali; nella fase 1980-2018), con la differenza che le prime tre congiunture hanno avuto durata più breve e sono state superate mentre la quarta è diventata quasi endemica e si dispera di superarla. E alla radice del debito pubblico più recente ci sarebbe innanzitutto l'istituzione delle Regioni (dal 1970, a regime per deleghe e finanziamenti dal 1977) e la conseguente politica di spesa pubblica, cresciuta vertiginosamente dal 1976 ma con un andamento a forbice rispetto alle entrate dello Stato. Tra l'altro, non sempre le funzioni dei diversi ambiti istituzionali risultavano chiaramente separate, per cui talora si sono prodotti duplicati di funzioni con un doppio svantaggio: aggravio di spesa e inefficienza del servizio.
Qual è dunque la "ricetta" per uscire da questa situazione di impasse, assodato che le ideologie e le rivoluzioni per Morelli non servono (sappiamo, tuttavia, che l'Italia, diversamente dalla Francia, non è mai stato Paese di rivoluzioni, semmai di emigrazioni) e che non serve pensare alla sola redistribuzione della ricchezza (profitti, salari, rendite e altro) perché la ricchezza per il Capitalismo costituisce la sorgente del benessere collettivo e andrebbe semmai distribuito il lavoro ("Un disoccupato è perdita di ricchezza")?
Innanzitutto, afferma in sintesi l'autore, porre mano ad una politica di riforme, che semplifichi e riduca l'apparato burocratico dello Stato (la riforma delle Province è rimasta a metà; le Regioni e i Comuni si potrebbero accorpare in macroregioni e aree intercomunali ecc.); quindi modificare la spesa pubblica, perché da improduttiva o scarsamente produttiva diventi incentivo alla produzione e ai servizi essenziali; infine impegnarsi a far scendere il debito pubblico attraverso una programmazione di medio periodo, ad esempio di 15/20 anni, che sia in grado - come fa ogni famiglia che si addossa un mutuo - di saldare le rate senza gravi scosse per il sistema nel suo complesso ed evitando inutili conflitti con l'Europa.
Dunque il compito urgente dello Stato è di "rimettere il sistema in equilibrio" evitando l'aumento dell'imposizione fiscale così come le politiche di pura assistenza e promuovendo spesa produttiva che "innescherebbe ancora il moltiplicatore keynesiano del valore".
Conclusioni che ci sembrano di buonsenso, tanto più che Sergio Morelli e Carlo Calabria non si pongono come teorici di economia politica o filosofi, in quanto machiavellicamente comprendono che l'uomo è quello che è e che se fosse buono ed onesto per natura certo non avrebbe bisogno di essere guidato e governato con le leggi.
Giovanni Artese