ONORI AL CAPOSCOUT EUGENIO DI PETTA !
SAN SALVO | Lui mi disse: “Allora Roberta viene in Parrocchia ?”. Io gli risposi: “Lo so e ne sono felice. Voi sicuramente non le insegnerete cose cattive”. Iniziò con questa domanda
di don Raimondo il percorso di mia figlia a San Giuseppe. Mi rendo conto adesso, una quindicina di anni dopo, come quella mia risposta, apparentemente scontata, fosse in realtà una considerazione predittiva, proveniente da un padre, che sa dove sta il bene e dove sta il male ovvero la considerazione di chi sapeva allora (ed oggi lo sa ancor di più) che in quel contesto si pratica il rispetto, la lealtà, la correttezza: valori laici e moderni, prim’ancora che cristiani o evangelici.
Roberta a San Giuseppe ci è andata perché aveva incontrato gli scout e tra gli scout c’era (ma forse bisognerebbe dire ci sarà sempre) Eugenio con la sua famiglia. Cosa sono effettivamente gli scout lo devo ancora capire. Ma so che si tratta di un gruppo affiatato, dove la socializzazione e il ricambio generazionale sono garantiti da regole e rituali che accompagnano uno/a scout fino a che prende la partenza. Sembra un ossimoro prendere la partenza, perché uno non parte dopo che è arrivato, ma agli scout è così. Evidentemente partenza sta per prendere una via: la via della vita, che si raggiunge dopo gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Nei quali ci si è formati da scout: rispettosi, leali, corretti ed anche temprati nel carattere, dopo giorni e mesi e anni passati a montare tende, a dormire nella natura, a mangiare cucinandosi coi fuochi liberi e senza fornelli e, ultimo ma non ultimo, a fare i campi senza i telefonini.
Peraltro, una o due volte all’anno chiamano i genitori, che si compiacciono, da un lato, perché si trovano figli più forti e si rammaricano, dall’altro, per non essere stati scout. In quegli eventi strani, ma suggestivi, cristiani, ma quasi paramilitari ho incontrato Eugenio. Per la verità lo conoscevo da prima, anche perché suo padre è stato il mio barbiere. Ma è negli incontri scout che ho ammirato la compostezza del caposcout, la tempra di chi sa risolvere i problemi, la bonomia paziente di chi sa mantenere la calma, l’autorevolezza di chi sa essere leader senza farlo pesare.
Credo che la commozione così profonda che ha colto la nostra città dalla sera della perdita di conoscenza (avvenuta immediatamente dopo la riunione scout) di Eugenio fino a questa sera (in cui “è tornato alla Casa del Padre”, come il web ha scritto coralmente) si deve alla sua compostezza, alla sua tempra, alla sua bonomia ed alla sua autorevolezza di leader senza farlo pesare.
Nell’ultimo campo scout, un paio di mesi fa, Roberta si è ammalata. Preoccupato ho chiamato Eugenio per dirgli che sarei andata a riprenderla. Lui mi disse comprendendo la mia ansia (immotivata) di genitore: “Orà che ti devo dì ? Vieni a prenderla”. Ovviamente non ci andai, perché potevo stare tranquillo: mia figlia stava con lui e con Rosita, con gente perbene, che ha tempra e cuore per risolvere i problemi con pazienza ed autorevolezza.
Gli scout sono così. Eugenio era così. Per fortuna che in questa città ci sono gli scout, che se li frequenti cose cattive non te le insegnano; per fortuna che tra gli scout di questa città c’è stato Eugenio Di Petta, che ad averlo conosciuto e frequentato ti è servito ad avere conferma che sai distinguere il bene dal male. Eugenio è stato sempre dalla parte del bene. E forse è proprio per questo che la città, grata, gli sta rendendo onore, l’onore che si deve ad un capo: un capo scout rispettoso, leale, corretto ed anche temprato nel carattere. Alla famiglia giungano le commosse condoglianze della nostra redazione.
Orazio Di Stefano