Ecco ciò che aspettavi, non è (un) saggio, ma franco come te
Franco Rongoni (storico esponente della sinistra locale: già membro della segreteria del Pci e poi dirigente e consigliere provinciale del Pds-Ds, attualmente membro del direttivo del Pd, “amico di sempre”
di Arnaldo Mariotti, nelle cui ultime due Giunte ha fatto parte la coniuge Sig.ra Katia Morroni) anche in un’altra occasione mi chiese di scrivere qualcosa sulla storia della sinistra. Scrissi in Canada (ricordo bene, l’ultima volta in cui ci sono stato, quasi due anni fa), misi il pezzo on line e poi ne ripresi qualche parte in Eventi politici, che pubblicai alla fine del 2015. Purtroppo nessuno riprese quella ricostruzione e men che meno le considerazioni che essa conteneva.
Ora con un recente post su facebook lo stesso Rongoni mi chiede addirittura “un saggio di sociologia o antropologia locale” (aggiungendo, per la verità, quella nota stonata sulla “parte in causa”, che si poteva risparmiare); alla mia adesione egli risponde: “Bene. Lo leggerò con molta attenzione…”
Più che un saggio, tento una personale ricostruzione di questi ultimi giorni, durante i quali mi sono astenuto dallo scrivere per evitare conflitti di interessi, avendo partecipato al tavolo del centrosinistra. Sono certo che Franco mi leggerà, perché conosco la sua attenzione alla cronaca politica… cosa che oggettivamente ci unisce. In onore del suo nome e della nostra consuetudine, che risale agli anni ottanta, prometto di essere…”franco” come lui. Faccio alcune premesse.
Uso la prima tecnica di studio antropologico: l’osservazione partecipante, che consiste nella partecipazione alle attività del gruppo sociale studiato da parte del ricercatore, inventata da Bronislaw Malinowski, indispensabile nelle scienze etnoantropologiche.
Orbene, io come editorialista politico e sociale, con esperienze diverse e relazioni trasversali, entrando nel tavolo del centrosinistra, sono stato osservatore partecipante. Chiarisco, tuttavia, che non vi sono entrato perché animato dall’ esigenza di studiarne le relazioni interne (che ben conoscevo). Ma fondamentalmente per dare una mano al responsabile dei Centristi per l’ Abruzzo Fabio Travaglini (cui mi lega un’ amicizia fraterna e la stima incondizionata per la sua serietà e lontananza dai giochetti della politica) e poi perché pensavo che tutti (me compreso) avrebbero dovuto fare qualcosa per riunire il centrosinistra.
Mi è stato sempre chiaro (e per questo ho scritto o parlato di nuovo spirito) che l’auspicata unità dovesse essere accompagnata dalla costruzione di una nuova rete di rapporti tra gli astanti. Potevano (o possono) coloro che avevano creato la vecchia e logora rete crearne una nuova ? Risponderò alla fine.
Tutti sappiamo che per trovare una terapia (nel nostro caso l’unità) bisogna prima fare una diagnosi (ossia capire cosa divide il centrosinistra). Ecco la mia opinione in merito: il centrosinistra è diviso perché si è troppo balcanizzato e, col tempo, è diventato eccessivamente competitivo al suo interno. Anzi, esso è diviso, perché balcanizzato in quanto troppo competitivo al suo interno. Si può eliminare la competizione in politica ? No, ma essa può (e deve) essere leale e basata su atteggiamenti, prima che comportamenti, rispettosi, educati e non arroganti. Condizione, questa, alla base di sane relazioni interpersonali.
Tanto premesso, proporre alla massima carica cittadina un esponente delle principali forze della vecchia rete sarebbe stata la dimostrazione che la perenne ed eccessiva competitività non era stata superata. Ed è per questo che Gabriele Marchese e Domenico Di Stefano (che pure avevano titolo a candidarsi a sindaco sia per le competenze maturate, che per “una sorta di risarcimento” per quanto era loro accaduto) hanno diligentemente fatto un passo indietro, dimostrando di aver compreso che i loro nomi avrebbero potuto riaccendere la deleteria competitività. Per la stessa ragione anche Fabio Travaglini e Angelo Di Pierro (che pure avevano titolo a candidarsi a sindaco, rappresentando rispettivamente i Centristi e i socialisti) hanno diligentemente fatto un passo indietro, dimostrando di aver compreso che i loro nomi avrebbero potuto riaccendere la deleteria competitività.
Il Pd ha invece ritenuto di proporre il suo segretario politico locale e zonale. Evidentemente non ha pensato che il nome di Luciano (suo malgrado ed indipendentemente dal suo carattere, alquanto tranquillo) non avrebbe aiutato a superare l’empasse.
Un’ empasse che avrebbe potuto superare Raimondo Pascale, iscritto al Pd, ma non a quello di San Salvo, che è direttamente coinvolto nelle divisioni di cinque anni fa. Il problema non è, infatti, la tessera Pd, ma riuscire a mettere d’accordo su un unico nome tutte e cinque le forze del centrosinistra e dare un segnale di unità, senza le fratricide primarie. E’ chiaro che quando Pascale è stato chiamato dalla Zappalorto (segretario provinciale del Pd) con la richiesta di fare le primarie, si è capito che non era ritenuto garante da tutti e che la linea pregiudiziale democratica era “O Luciano o le primarie”, come ribadito al termine della manifestazione al Centro culturale.
Un’ empasse che avrebbe potuto superare qualunque altra donna o uomo col profilo di Pascale. La triplice (come l’ ho giornalisticamente battezzata) ha poi individuato Pasqualino Onofrillo, il cui nome, per la verità, mi era già stato fatto al Vecchio Casale la sera della cena della Pasquetta da Valfrido Adorante e Mario Codagnone, esponenti di Sinistra italiana. Il numero di Onofrillo non è nella mia affollatissima rubrica telefonica (questo per dire che non ho una grossa consuetudine di rapporti con lui, anche se lo conosco da sempre, perché è mio coetaneo). Si tratta tuttavia di un avvocato, figlio di due grosse famiglie locali, molto stimato e conosciuto, impegnato nel sociale, già candidato con Arnaldo Mariotti, segnalatomi da Si e politicamente lontano dalle beghe recenti. Tutto questo mi aveva fatto sperare che, almeno lui, potesse rappresentare la famosa quadra. Avevo immaginato la sua candidatura come una concreta limitazione della competitività interna, anzi come spirito nuovo di comprensione reciproca e condivisione delle rispettive ragioni, che è ciò che manca al centrosinistra e che è, a mio sommesso giudizio, all’origine delle divisioni.
Se, invece, il Partito democratico insisterà sul nome del suo segretario politico, si profilerà quanto è accaduto nel 2012 ossia il Pd col suo candidato (stavolta è Luciano, la volta precedente era Mariotti) ed i suoi ex esponenti Gabriele Marchese e Domenico Di Stefano, insieme a socialisti e ai centristi (che la volta precedente avevano candidato Travaglini fuori dai poli), con un altro candidato. Al momento non è dato sapere cosa farà Sinistra italiana.
Se così andrà, nessuno potrà negare che si sia persa l’occasione di rifare un blocco unico, percepibile come vincente e che avrebbe potuto giocarsi la partita contro la combattiva e consolidata Magnacca. Ho già detto quale è per me il motivo che farà perdere questa occasione.
Resta la domanda: coloro che hanno creato la vecchia e logora rete di relazioni interne potevano (e possono) crearne una nuova ? Visto il risultato direi di no. Ma sarei disonesto se non dicessi che Gabriele Marchese e Domenico Di Stefano hanno fatto due passi indietro: non hanno posto i loro nomi come candidati sindaci e né quelli di esponenti di Ssd (simile generosa rinuncia hanno fatto i centristi ed i socialisti). Diversamente dal Pd, che, in virtù del proprio orgoglio identitario, non è riuscito a fare altrettanto. E’ lo stesso orgoglio identitario, che, almeno qui da noi, tiene ancora assieme le componenti renziana e bersaniana. Quest’ultima (forse) prenderà altre strade, ma dopo le elezioni comunali. Adesso è ancora colta da uno spirito eccessivamente competitivo, che non le ha consentito quel necessario passo indietro per un nuovo inizio unitario. Peccato, sarà per la prossima volta.
Ods
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