Presentato a San Salvo “Mezzogiorno tra identità e storia” di Costantino Felice
SAN SALVO | L’altra sera ho partecipato alla presentazione di “Mezzogiorno – tra identità e storia”, l’ultimo libro di Costantino Felice, noto professore di storia economica alla D’ Annunzio, autore di numerosi libri, saggi e studi sul Mezzogiorno d’ Italia,
vastese di adozione e celenzano di origine. L’evento si è svolto all’ Herzog bar di Marisa D’ Alfonso ed è stato moderato da Maria Antonietta Labrozzi. Tra gli altri erano presenti l’assessore alla cultura di San Salvo Maria Travaglini e Gilberto Onofrillo, già professore di lettere in alcuni Istituti superiori vastesi. Di Marisa, Maria Antonietta e Maria (che ho citato) e di chi scrive Felice è stato insegnante di storia, mentre di Onofrillo è stato collega; l’autore prima di passare all’ Università ha insegnato a Vasto ed ha formato generazioni e generazioni di studenti. Coloro che hanno conosciuto Costantino FeIice sui banchi di scuola non hanno dimenticato né la simpatia che promana quando spiega e né il suo rigore scientifico quando illustra una propria tesi. La tesi sostenuta nel corso della presentazione di “Mezzogiorno – tra identità e storia” (che non ho ancora letto e che, ovviamente, leggerò a breve) era (ed è) di confutare il saluto a Pescasseroli di Benedetto Croce, il quale confessa che “quando l’acuta chiaroveggenza dei napoletani si cangia in scetticismo e in gaia indifferenza, quando c’è bisogno non solo di intelligenza agile e di spirito versatile, ma di volontà ferma e di persistenza e resistenza, io mi sono detto: Tu non sei napoletano, sei abruzzese”. Felice ritiene che questa affermazione crociana, peraltro ripresa anche di recente a caratteri cubitali dai nostri quotidiani regionali, sia stata formulata dal filosofo per un impeto emotivo dovuto al trovarsi, per la prima volta dopo tantissimi anni, nella terra natìa. Sempre secondo Felice tale “occasionale affermazione” sarebbe in contraddizione con tutta la filosofia della storia dello stesso Croce. Infatti, napoletanità, abruzzesità, italianità (ecc…) sarebbero solo degli stereotipi, poiché, se non ho capito male, le personalità di ciascuno di noi sarebbero frutto del vissuto individuale, cambierebbero di continuo e quindi non dipenderebbero minimamente dall’appartenenza al luogo d’origine. La grande e deleteria affermazione di questi luoghi comuni, sempre se non ho capito male, dipenderebbe dal ruolo avuto da alcune scienze sociali (e soprattutto dall’antropologia culturale, a partire da quella gramsciana), che avrebbero dato molto risalto ad eventi localistici e tradizionali, contribuendo a demolire il ruolo storico, scientifico, unificante avuto dalla grande cultura e dalla grande storia. Non solo: questi luoghi comuni sarebbero anche alla base dell’ odierna disgregazione sociale ed avrebbero generato i processi separatistici in corso, come la scissione catalana ed il fenomeno leghista.
Non avendo ancora letto il libro, non posso certo entrare nel merito della ricordata e suggestiva tesi, anzi sono convinto che Felice avrà usato il suo solito rigore storico per affermare il proprio convincimento. Non sono intervenuto l’altra sera, avendo dovuto lasciare gli amici prima del previsto…per un imprevisto. Se fossi intervenuto avrei detto che se anche le tradizioni, le storie con la s minuscola, gli eventi localistici e comunitari non formassero le personalità individuali e se anche non esistessero le identità collettive, di certo esiste l’autostima (individuale) per appartenenza. Infatti, è difficile, forse impossibile, dire ad un napoletano o ad un abruzzese di non sentirsi orgoglioso del posto in cui è nato, in cui ha le proprie radici (cioè i suoi antenati), in cui ha vissuto ed in cui partecipa agli eventi collettivi, spesso unici ed originali. Il sentirci orgogliosi del posto in cui viviamo ci porta a sentirci orgogliosi anche di noi stessi. Questo orgoglio è di fatto una risposta alle frustrazioni individuali (che purtroppo esistono ancora, nonostante il benessere), all’alienazione generata da tanti lavori (che non solo esiste ancora, ma sta crescendo coi call center o coi nuovi contratti di lavoro giuridicamente basati sulla precarietà e sul lavoro a tempo determinato), al depauperamento di tante micro comunità (che continua imperterrito, anzi aumenta per la poca cura della manutenzione viaria). L’ orgoglio di venire da un posto, di conoscerne anche le pietre (come disse Croce di Napoli), di partecipare ritualmente alle tradizioni che si ripetono con cadenza annuale, di saper cucinare i cibi delle generazioni precedenti e costruiti sulla biodiversità dei luoghi è stato uno degli elementi che ha aiutato ed aiuta gli emigrati a superare il trauma dell’inserimento in un luogo nuovo e, spesso, ostile. Ed è lo stesso orgoglio che aiuta i piccoli paesi di origine medievale a continuare vivere la loro storia millenaria, che sta per finire a causa del noto spopolamento e mantenutasi tale nei secoli del duro isolamento, anche sul piano logistico. Se fossi intervenuto l’altra sera, con deferenza e rispetto per l’autore di tanta letteratura storica del nostro territorio e del meridione italiano, avrei detto: anche se non dovessero esistere le identità locali ed ammesso che esse sia la causa dell’odierna disgregazione sociale, esiste comunque l’autostima per appartenenza che aiuta a vivere tanta gente. Ed è un elemento positivo, proprio perché siamo in un’epoca di disgregazione.
Ods