L’ultimo caffè al Bar Bruno, che ha seguito San Salvo passo passo…
I bar non sono solo luoghi di veloce consumo, che servono ristorarci o a dissetarci quando ne abbiamo biologicamente bisogno, in tal senso rispondendo ai nostri bisogni fisici o fisiologici. Ma sono anche luoghi di socializzazione e coesione sociale, che servono a farci
incontrare le altre persone e a farci relazionare coi nostri simili, in tal senso rispondendo ai nostri bisogni culturali. Quindi il barista non è solo colui che ci fa il caffè o ci versa l’aperitivo o ci consegna il gelato. E’ anche colui che crea un luogo nel senso pieno del termine, stabilisce rapporti sociali coi clienti e, soprattutto, favorisce che costoro attivino o coltivino rapporti tra loro. Il barista, quindi, è un esercente commerciale atipico, diverso dal macellaio (per fare un esempio), perché se uno va dal macellaio, prende la carne e se ne va. Mentre ai bar (soprattutto in quelli comunitari) ci si va per restarci, intrattenersi, parlare ed incontrarsi con gli altri. Per questa ragione, se un bar si trova in un “non luogo” (aeroporto, centro commerciale, stazione di servizio, zona di passaggio) assume anch’ esso la caratura del “non luogo”. Ma se si trova all’interno di comunità, magari al centro della stessa, diventa una comunità nella comunità o una comunità della comunità, dove passano gli attori più o meno importanti, plasmando il vissuto sociale. Se poi un bar, oltre ad essere nel centro della comunità, ci resta per mezzo secolo, diventa per davvero un centro di coesione sociale.
E’ il caso del Bar Bruno a San Salvo (ma non solo), che oggi chiude dopo ben 54 anni di attività ed è stato sempre nello stesso posto, di fronte al Palazzo De Vito, con due ingressi. Fu aperto da Giovanni Bruno ed è stato gestito sempre da lui, insieme alla moglie Eliana e, prima di lei, con l’aiuto del papà Giuseppe (Mastro Peppe, perché era barbiere), che di buon grado accettò la proposta del figlio, per evitare che restasse a Bergamo.
In oltre mezzo secolo, il Bar Bruno è stato visitato e frequentato da migliaia e migliaia di persone. E’ stato un crocevia dove si sono incontrati cantanti di 54 feste patronali e di centinaia di eventi estivi musicali. E’ stato il luogo dove si sono fermati politici nazionali e regionali, venuti nelle decine e decine di campagne elettorali di mezzo secolo di storia politica. E’ stato uno dei bar dove sindaci e segretari comunali sono scesi prendere il caffè di metà mattina. E’ stato negli anni sessanta e settanta – ci raccontano i più anziani – il bar del tressette di mastro Spedito ed altri artigiani; dagli anni ottanta in poi, uno dei primi esercizi del centro a “togliere le carte”, per diventare il ritrovo, dove commentare le partite sulla “Gazzetta” e la politica sul “Centro”; nell’ultimo quindicennio è stato anche una sala da te di gentili signore, che amabilmente si sono intrattenute con Eliana. Quindi dal classico bar del “dopolavoro”, frequentato da soli maschi a locale di incontro e dialogo sportivo e politico, per arrivare nell’ultimo periodo ad ospitare le donne, che solo da qualche anno “possono”. Ciò dimostra che il percorso di un locale è evolutivo, che segue la società e le sue norme sociali. Se queste sono maschiliste, il bar sarà maschile. Se le norme sono egualitarie il bar sarà di fatto aperto ad uomini e donne. Ma il bar può essere esso stesso uno stimolo all’evoluzione delle norme sociali, se riuscirà a dare regole alla clientela. La quale, per esempio, accetterà di buon grado la decisione del barista di eliminare i giochi a carte, comprendendo che si può passare il tempo anche senza fare la “passatella”.
Il Bar Bruno è nato quando eravamo un piccolo borgo ed ha visto sviluppare la città in lungo ed in largo. Esso stava lì, quando a qualche decina di metri c’era il Banco Di Napoli, quando la farmacia Di Croce ancora stava nel Palazzo Cirese, quando hanno demolito la Porta de la terra e quando l’hanno ricostruita, quando il Comune ha aperto il Museo del Quadrilatero ed Angiolina Balduzzi ha aperto la Giostra della memoria, quando il centro di San Salvo è stato pavimentato, quando si passava con le macchine e quando è stato chiuso il traffico, quando don Cirillo aveva la canonica a pochi passi e quando D’ Alò e Bontempo hanno costruito uno dei primi palazzi, che avrebbe ospitato il primo studio notarile ed il mitico Luigi Di Iorio, quando di fronte c’era l’ambulatorio di Don Peppino de Vito e Bolognese, Cardarella, Baldassare e Di Rocco erano studenti di medicina e quando costoro hanno aperto i propri ambulatori, quando San Salvo stava in terza categoria ed ora che sta in promozione, passando per la serie D, quando stava alla stessa distanza tra la sede della Dc, la sede del Pci e la sede del Psi, che i ragazzi manco sanno che sono, quando era appena venuto Aldo Moro e la sera che lo commemorarono al monumento dei caduti, quando veniva cantato il Sant’ Antonio di Evaristo Sparvieri e quando Nicola Iannace ha riscoperto la Pasquetta, quando affianco c’era Adriano La Lavanderia e ... Insomma il Bar Bruno ha seguito San Salvo passo passo.
Quel che hanno fatto Eliana e Giovanna lo continueranno a fare ancora tanti loro colleghi, perché c’è un bar in ogni quartiere e, nelle micro comunità, in ogni campanile. A San Salvo c’è ne sono decine.
Per onorare la storia quotidiana di incontri e dialoghi avvenute nel Bar Bruno, ripercorriamo una sintetica (ed incompleta) cronologia, costruita solo con la memoria orale, dei bar del centro sansalvese, offrendo disponibilità a collaborare alla pubblicazione di un testo di immagini e commenti, in cui ripercorrere i percorsi di tutti i nostri esercizi pubblici.
CANTINA ALBFAJURNE – POI DETTO BAR ZA’ ANNINA
PRIMA, DURANTE E NELL’ IMMEDIATO DOPOGUERRA: Domenico Ialacci (Albfajurne) gestisce un bar –cantina, a Corso Garibaldi, nell’attuale Palazzo Di Rito, ancora molto vivido nell’ immaginario collettivo del nucleo sansalvese originario, che sposta dove stava la prima sezione del Psi e lo cede nel
1969 ad Antonio Pagano apre il bar (di Za’ Annina) in Corso Garibaldi,. Pagano pochi anni dopo chiude il bar senza cederlo ad alcuno
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BAR DI BALDUZZI – OGGI TEA ROOM
IMMEDIATO DOPOGUERRA: Angelo e Lillino Balduzzi aprono il suo bar proprio dove oggi sta il Bar Bruno, poi lo trasferisce nel suo locale e nel
1952 lo cede a Primiano Ricchezza, il quale lo sposta dove oggi c’è il Bar Roma e nel
1954 lo cede a Silvio Ialacci, il quale lo cede nel
1969 ad Alfredo Cilli. Oggi il Bar Roma in Corso Garibaldi è gestito dal figlio Floriano, che lo ha chiamato Tea Room – Caffè Roma
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BAR DEL VILLANO
1950 Zio Emilio Del Villano apre il suo bar dove adesso c’è l’ Ottica Ialacci. Qualche anno dopo lo chiude per trasferirsi a San Salvo Marina, dove gestirà il primo stabilimento balneare
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BAR BIONDO
1950 Biondo Tomeo apre il suo bar, che adesso è gestito dal nipote omonimo, dopo essere passato per la gestione di Gabriele Onofrillo, che poi si trasferirà in Germania
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BAR SPORT – OGGI BAR IL QUADRILATERO
1954 Vito Ialacci compra la licenza della cantina da Antonino Artese, la trasforma in bar posizionandolo nell’immobile di Antonio Cilli, oggi demolito (praticamente sul soppalco della Casa della cultura, lato Chiesa)
1966 Vito Ialacci sposta il bar dove sta adesso il Bar il Quadrilatero e lo cede a Lombardi – Zinni nel
1975, che qualche anno dopo lo cedono alla famiglia di Maria Del Casale, che, a sua volta lo cede, nel
2011 ad Osvaldo Menna, che lo chiamerà Bar il Quadrilatero
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BAR CENTRALE –
1959 Gino Fabrizio apre il suo bar in centro oggi gestito da una società di Auro Chinni, dopo essere passato per le gestioni dei cognati Vincenzo & Giuseppe, della famiglia di Aldo Menna e del figlio del fondatore Marco
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BAR BRUNO
1964 Giovanni Bruno apre il Bar Bruno, dove sta adesso e dove è stato per 54 anni.
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BAR DEL CORSO – OGGI DEA
1969 Umberto Pollutri apre il Bar del Corso, ereditando la mitica clientela di Za’ Annina. Nel
1970 lo cede a Tommaso Tumini, che lo fa gestire, per un po’, ad Evandro e Maria Pieri e lo vende nel
1973 a Rocco Gullello, che lo tiene fino al
1982, quando si sposta nel palazzo di sua costruzione accanto al Centro Culturale, per venderlo nel
1984 a Enzo Ingenito, che lo chiama Park Bar e poi lo cede agli attuali gestori, che lo chiameranno Dea
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BAR CASINA DELLE ROSE
1977 Peppino Menna apre il Bar Casina delle rose, nel Palazzo Napolitano di fronte la villa comunale, che 3 anni dopo trasferisce dove sta ora, cedendolo nel
1984 alla famiglia Cicconetti,che lo gestisce ancora oggi
Ods
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