Il partito era (è un intellettuale collettivo). In pratica, un gruppo che trova delle sintesi dopo essersi "dialetticamente" confrontato su tesi ed antitesi. Il leader è un intellettuale (se lo è !?!) solitario. In pratica, un capo che porta avanti la propria tesi, pressoché senza antitesi, perché non ha un gruppo
ma un cerchio magico.
Gli elettori si sentivano maggiormente appartenenti al partito, perché quand'anche il segretario (primo inter pares e non capo assoluto) sbagliava era sempre possibile passare coi suoi avversari interni e restare nel partito, magari a combattere nel successivo congresso.
Gli elettori oggi appartenengono al leader, ma lo ritengono usa e getta. Infatti, appena questi li delude vanno ad applaudirne un altro. Questo il leader lo sa, per cui non deve organizzare i congressi e le direzioni proponendo politiche ed organigrammi collettivi per restare al vertice. Ma deve compiacere il popolo, l'elettorato spesso con frasi ad effetto e sui sociale. Questa leadership in Italia fu inaugurata da Berlusconi (che per compiacere meglio chiedeva ai sondaggisti cosa volesse il popolo), fu proseguita da Renzi (che ovviamente non ebbe campo libero, perché i suoi iscritti erano più militanti e disciplinati ed ideologici degli altri) ed ora è messa in atto con successo da Salvini. Molti si chiedono se costui farà la fine di Renzi. È presto per dirlo. Il problema è che chi vuole esserne la sua alternativa non deve puntare a costruire un altro leader usa e getta. Deve puntare a costruire un intellettuale collettivo, una classe dirigente, un partito sulla roccia e non sulla sabbia...perché gli elettori tra gli originali e le copie scelgono sempre gli originali
Ods