1° maggio - riflessioni del leader dei sociologi clinici italiani, Minardi
Arriva il 1° maggio. Forse, dove, perché? L'effetto di destrutturazione e di polverizzazione sociale che ha ormai prodotto il Covid 19 è talmente invisibile che anche la memoria sociale è diventata fragile e incerta.
Tra pochi giorni sarà il 1° maggio, giorno che al pari del 25 Aprile, evoca non solo ricordi, ma anche l'attenzione ai problemi sempre più drammatici che sta incontrando il lavoro, o meglio chi il lavoro non lo trova e non ce l'ha e chi l'ha perso, a volte senza saper bene il perché.
Già sapevamo che il cambiamento dei tempi e delle tecnologie delle produzioni ha riflessi determinanti sulla domanda e l'offerta di lavoro; al punto che alcuni, non banalmente, affermano che “il lavoro non si cerca, ma lo si crea”.
Gli effetti, tuttavia, non prevedibili e non programmabili della pandemia hanno cambiato la struttura dei processi della organizzazione dell’economia che paradossalmente da economia di capitale sta diventando sempre più economia sociale e civile.
Le imprese medio grandi, basate sui grandi investimenti di capitali, sviluppatesi in un contesto di forte concorrenza, sono necessarie e devono sempre più dotarsi di nuove tecnologie leggere ed accessibili, dalla produzione alla distribuzione; ma questa economia di capitale deve convivere, oggi ancor più di ieri, con un sistema in crescita di attività dove il paradigma e la logica dell'economia individualistica deve misurarsi con un'attività distribuita e diffusa di produzione, di distribuzione e di consumo, che tende a far capo a paradigmi e logiche decisamente difformi dal capitalismo finanziario.
Si sono infatti rafforzate reti, relazioni, comportamenti di gruppo e collettivi che hanno connesso in maniera più diretta produzione, distribuzione e consumo; laddove solo cresciuti di numero e di valore i luoghi piccoli e medi della produzione e si stanno trasformando gli spazi della distribuzione e del consumo; si sono modificati anche i linguaggi e le immagini di un marketing che dal rapporto comunicativo anonimo si è trasformato in modalità e percorsi di incontro tra distribuzione e consumo.
Ciò ha altresì generato, al di fuori di logiche di programmazione economica, reti sociali diffuse di mediazione tra produzione e consumo, dal lavoro partecipato (co-working), al credito sociale (social lending), alla produzione di software (open source), alla gestione della mobilità (car pooling), al consumo distribuito (gruppi di acquisto solidale); senza dimenticare altri processi ormai riconosciuti, quali le innovazioni nell’educazione (social learning), nella comunicazione (software condivisi di informazione e comunicazione).
Perciò può avere senso oggi cambiare linguaggio allorquando facendo riferimento al 1° maggio si torna a rievocare il sogno (un tempo proprio della “classe operaia”) di una economia e di una produzione decisamente coerente con i principi cardine della giustizia sociale.
Il lavoro è in stretta connessione con una economia sostenibile partecipata, che porta allo sharing di risorse, luoghi aperti (non più solo fabbriche e centri commerciali, ma botteghe e piazze e spazi di vita sociale) della produzione, della distribuzione e del consumo dei beni, da quelli alimentari a quelli strumentali.
In questa direzione sembra decisamente muoversi l'iniziativa della partecipazione alla festa del 1° maggio, anche da parte dei Vescovi italiani che con un proprio messaggio (Il lavoro in un’economia solidale) hanno inteso mettere in evidenza che, anche ma non solo, per effetto della pandemia, nulla sarà come prima.
Non solo e non tanto per la crisi dei grandi sistemi industriali, ma anche soprattutto per la crescita di una economia dal basso, fatta di relazioni e di reti non solo di scambio, ma anche di reciprocità e di mutualità, basata su valori che non sono solo traducibili in di denaro e finanza, ma anche in dono, fiducia, prossimità; contro le logiche e le pratiche dell'individualismo di una “economia che uccide”, come dice Papa Francesco.
Non lo sarà come prima, quindi.
Questa è una certezza, a cui occorre fare fronte non per difendere il nostro passato, ma per costruire - almeno nel medio termine - le alternative possibili; anche con il riconoscimento delle istituzioni pubbliche che per troppo tempo sono rimaste sottoposte al controllo di una economia e di una finanza (senza identità e senza volto) capaci di sottrarre risorse anche alle finalità di benessere correttivo, con l'effetto di ridurre le potenzialità dei nostri sistemi di welfare.
Nulla sarà come prima, anche con la nostra responsabilità.
Everardo Minardi