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Una (ri)lettura delle Considerazioni finali del governatore di Bankitalia

Scritto da Sansalvomare

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Una (ri)lettura delle Considerazioni finali del governatore di Bankitalia

Paese vecchio e senza fiducia. Chi paga? Un paese che ha ancora potenzialità, ma è in pieno inverno demografico, costruito sugli anziani, senza una visione del futuro. Benvenuti nell’Italia dell’era del coronavirus.


L’appuntamento quest’anno è in virtuale, pochi invitati, tutti distanziati, schieramento di forze dell’ordine in assetto anticoronavirus. Che cosa possiamo identificare? Non c’è una cornice che tiene insieme il quadro Italia, ma quello che emerge è che in un paese per vecchi alla fine il conto lo pagheranno i giovani italiani. Ci sono due grandi assenti sul palcoscenico: la fiducia e il futuro. Qual è la cifra del discorso di Visco, insomma? (il testo è del governatore Visco, tra parentesi e in corsivo le mie stringate considerazioni).

 


A) Lo shock

Nel primo trimestre il PIL ha registrato una flessione dell’ordine del 5 per cento; gli indicatori disponibili ne segnalano una caduta ancora più marcata nel secondo. Alla metà di maggio il traffico aereo era inferiore di oltre l’80 per cento rispetto allo scorso anno, quello autostradale di quasi il 50; i consumi di gas per uso industriale di oltre il 15, quelli elettrici del 6. Negli ultimi mesi gli indici del clima di fiducia delle imprese e dei responsabili acquisti sono crollati (lo shock del lockdown è tutto qui: non c’è fiducia, ci vuole tempo e non è detto che torni, si tratta di un trauma interiore).


B) L’azione del governo

Il Governo italiano si è mosso secondo le medesime priorità che hanno guidato gli interventi a livello internazionale, concentrandosi sulla capacità di risposta del settore sanitario e sugli aiuti ai lavoratori, alle famiglie, alle imprese.
Tra marzo e maggio, sono state varate misure che accrescono il disavanzo pubblico di quest’anno di circa 75 miliardi, il 4,5 per cento del prodotto.
(Domanda: ma la velocità della risposta dov’è?)


c) Alla ricerca della crescita

Nello scenario di base la flessione dell’attività produttiva nel 2020 sarebbe pari al 9 per cento, superiore a quella sofferta in due riprese tra il 2008 e il 2013; il calo si concentrerebbe nei primi due trimestri dell’anno, con un parziale recupero a partire dall’estate.
Le moratorie sul credito e le garanzie sui nuovi prestiti alle imprese riducono drasticamente il rischio di effetti di amplificazione ulteriori, associati a una diffusa crisi di liquidità. Nel 2021 il prodotto recupererebbe circa metà della caduta. Queste stime presuppongono che prosegua il contenimento dei contagi a livello nazionale e globale.
In un secondo scenario basato su ipotesi più negative, anche se non estreme, in merito all’evoluzione dell’epidemia, all’entità del calo del commercio mondiale e all’intensità del deterioramento delle condizioni finanziarie, il prodotto si ridurrebbe del 13 per cento quest’anno e la ripresa nel 2021 sarebbe molto più lenta. In entrambi gli scenari la caduta del prodotto nell’anno in corso sarebbe dovuta per metà alle limitazioni connesse con i provvedimenti di sospensione dell’attività e la conseguente contrazione del reddito disponibile.
(Nessuno è in grado di fare previsioni, non le fa la Cina e neppure gli Stati Uniti, siamo fermi al dilemma della curva. Vedere sempre alla voce “fiducia”).

d)Il coronavirus è asimmetrico

Gli effetti immediati sono stati più forti nei trasporti, nella ristorazione, nelle attività ricettive, in quelle ricreative e culturali, nei servizi alla persona e in larga parte del commercio. Anche in presenza di una graduale attenuazione delle misure di distanziamento, la ripresa di questi comparti dipenderà dal tempo necessario per il dissiparsi dei timori maturati in questi mesi. Una quota rilevante della domanda loro destinata dipende dal turismo, cui è direttamente riconducibile, rispettivamente, più del 5 per cento del PIL e oltre il 6 dell’occupazione. Dopo il brusco arresto indotto dall’epidemia, per il turismo si prospetta un recupero solo parziale nella seconda metà di quest’anno e nel prossimo; la ripresa sarà soprattutto frenata dalla riduzione delle presenze straniere. Ne conseguirà un calo del saldo con l’estero del settore, tradizionalmente in forte avanzo
(sono dati di fatto, e ancora una volta riemerge il tema della fiducia).


e) Il trionfo di Bezos e i suoi fratelli

Nel commercio si è intensificata la tendenza ad accrescere l’uso dei canali di vendita digitali. L’incidenza degli acquisti online sul totale delle spese effettuate con carta elettronica, pari al 23 per cento lo scorso anno, è salita al 40 in aprile, sostenuta dal settore alimentare, da quello dell’abbigliamento e dalle vendite al dettaglio di beni a uso personale o domestico. Nel bimestre marzo-aprile gli acquisti online della grande distribuzione di beni alimentari e di prima necessità sono cresciuti del 170 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Queste tendenze potranno proseguire nei prossimi mesi, accelerando la ricomposizione dell’offerta, con ulteriori sviluppi delle modalità di vendita miste (tradizionali e per via elettronica) anche negli esercizi commerciali di minore dimensione. È un processo che comporta nuove opportunità, ma anche costi di transizione; tenderà a premiare le aziende più dinamiche e innovative (la fine dello spazio fisico commerciale è un cataclisma per il mercato immobiliare sul piano materiale, ma l’effetto più grande è psicologico, l’alienazione dell’essere umano ridotto a estensione biologica della macchina a cui è attaccato, la sua connessione e l’algoritmo che ne misura e stimola la capacità d’acquisto con un clic. Andiamo a grandi passi verso un futuro connesso con la carta di credito e sconnesso dalla realtà che sta là fuori, sono le conseguenze inattese del “restate a casa”).


f) Chi paga? Il futuro nero dei giovani


La caduta dell’attività economica ha ridotto le nuove opportunità di impiego, ripercuotendosi in particolare sui giovani che per la prima volta si affacciano sul mercato del lavoro, su chi è abitualmente impegnato in attività stagionali, con contratti a tempo determinato o di apprendistato. Colpisce con maggiore intensità le attività tradizionalmente svolte dai lavoratori autonomi e il lavoro irregolare, ancora troppo diffuso nel nostro paese
(ipnotizzati dai social, attaccati alla macchina del Grande Fratello della Silicon Valley, ma forse unica speranza per uscire da questa distopia al cloroformio digitale, i giovani).


g) Un paese di anziani


Le tendenze demografiche non sono favorevoli: pur tenendo conto dell’apporto dell’immigrazione (stimato dall’Eurostat in circa 200.000 persone in media all’anno), la popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni si ridurrà di oltre 3 milioni nei prossimi 15 anni. Tuttavia, proseguendo lungo tendenze simili a quelle degli ultimi 10 anni, l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’allungamento della vita lavorativa potranno permettere all’occupazione di contribuire positivamente alla crescita, per oltre mezzo punto all’anno (non siamo un paese per giovani, manca la consapevolezza della classe dirigente sul nostro presente “inverno demografico” che prepara un futuro con una popolazione anziana, sempre più bisognosa di cure. Il tema dell’energia, delle forze nuove non emerge. C’è la prova che le donne sono il motore – ma siamo ancora lontani dalla parità, dall’accesso naturale ai posti di comando – della nostra vita economica e sociale. Mancano politiche adeguate per la famiglia, ne abbiamo avuto prova con il lockdown e lo stress scaricato sulle donne).


h) Pochi soldi per la ricerca


Nonostante l’elevata efficienza e qualità della ricerca italiana, lo Stato investe nelle università circa 8 miliardi, la metà in rapporto al PIL di quanto fanno i paesi a noi più vicini. Anche solo lo spostamento di una frazione modesta del bilancio pubblico produrrebbe un deciso miglioramento della formazione dei giovani e della capacità di produrre innovazione. Ne risulterebbe potenziata la capacità di intercettare le risorse europee destinate alla ricerca, ne trarrebbe beneficio anche il settore produttivo, che investe nella ricerca appena lo 0,9 per cento del PIL, contro l’1,7 della media dei paesi dell’OCSE .L’assunzione di nuovi ricercatori, prevista nei più recenti provvedimenti, costituisce una significativa discontinuità rispetto alle tendenze del passato (l’assenza di visione sul domani, si riflette sul settore degli investimenti. Se non hai un orizzonte, se i tuoi anni più vibranti sono alle spalle, se accumuli debito da far pagare ai giovani, se peggiori le condizioni di reddito e dunque di vita, è chiaro che non pensi alla ricerca e all’innovazione, ma a come prendere una badante a basso costo, possibilmente a carico dello Stato).


i) Un ecosistema chiamato Italia


La crisi del settore turistico ha reso immediatamente percepibile la rilevanza anche economica del patrimonio naturale e storico-artistico che costituisce l’identità stessa del nostro paese. Esso va preservato e reso sempre più fruibile in maniera sicura perché possa, dopo la pandemia, contribuire ancora, con accresciuto rilievo, allo sviluppo. Vanno colte le occasioni che verranno dalla transizione, che non può che essere accelerata, verso un’economia con minori emissioni di gas serra e più tecnologia digitale.
(le considerazioni verdi del governatore restano sospese a mezz’aria: un passaggio di mainstream che invece poteva essere incastonato nel discorso sui consumi, il turismo di massa che cambierà, l’aumento delle ineguaglianze a causa di un virus che non è affatto democratico).


l)Dove prendiamo i soldi


Le risorse pubbliche necessarie per finanziare tutti questi interventi e favorire un impiego produttivo di quelle private possono venire da una ricomposizione del bilancio pubblico, da un recupero di base imponibile e da una riduzione del premio per il rischio sui titoli di Stato, da un uso pragmatico e accorto dei fondi europei. Anche il livello delle entrate fiscali è sostanzialmente allineato alla media degli altri paesi, pur se è più elevato il cuneo fiscale sul lavoro (il problema del denaro, tutte le pedine vanno a dama: il peso degli interessi del debito, non spendiamo i fondi europei – e vedrete che spettacolo con la partenza della Fiera dell’Est del Recovery Fund, con calma, nel 2021 – e poi, voilà, una cosa nuova: l’evasione fiscale. Cambiano i governatori, non le Considerazioni finali, cioè i problemi italiani).


La proposta della Commissione presentata due giorni fa al Parlamento Europeo per la creazione del nuovo strumento denominato Next Generation EU ribadisce la centralità della transizione ambientale e di quella digitale; vi affianca l’obiettivo di rafforzare la cooperazione in campo sanitario. Viene prevista la costituzione di un fondo di 750 miliardi da destinare a trasferimenti e prestiti agli Stati membri (rispettivamente per 500 e 250 miliardi). Le risorse raccolte sul mercato dalla Commissione sarebbero assegnate nell’ambito del quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea, privilegiando i paesi più colpiti dalla crisi (Resta una domanda: quando arrivano i soldi? Perché c’è una risposta di John Maynard Keynes che ci inquieta: nel lungo periodo siamo tutti morti).

di Nicola Dario

 
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