La Storia di Nicola Dario

acqua in bottiglia

Il Paradosso della plastica

Strano paradosso. Da una parte viene denunciata l’origine dei nuovi virus nella deforestazione e nella perdita delle biodiversità; dall’altra la gestione dell’emergenza Covid sembra esigere il ripristino massiccio di abitudini e materiali al centro dell’insostenibilità ambientale.

È il caso dei trasporti privati, che tornano in auge per l’attuale insicurezza generata da quelli collettivi. Ed è il caso della plastica, che era in attesa di passare sotto la ghigliottina di una nuova tassa sulle confezioni monouso e ora spadroneggia e dilaga con le mascherine, i flaconi di gel idroalcolico, le consegne di Internet, gli imballaggi alimentari e così via.

Un articolo su Le Monde del 15 aprile titola“Ritorno in forze per la plastica monouso”, e sotto, “Gli industriali approfittano dell’epidemia per vantare le pretese virtù igieniche”. Rispetto alla busta di plastica dei supermercati il nemico è diventato il sacco in tessuto riutilizzabile, che è stato vietato nel New Hampshire e in California. La Plastics Association, principale lobby del settore, si è vantata di fabbricare prodotti “che possono fare letteralmente la differenza tra la vita e la morte”, e il suo presidente ha invitato il governo americano a “fare una dichiarazione pubblica sui vantaggi in materia di salute e sicurezza delle plastiche a uso unico”, di “sollevarsi contro il loro divieto” e “calmare la sollecitudine degli ambientalisti”. Il presidente dell’associazione europea, l’italiano Renato Zelcher ha profetizzato che “vivremo in un mondo differente dove l’igiene e la salute dei consumatori saranno la prima priorità. 

E’ tempo dunque di riaggiustare le strategie che concernono l’utilizzazione della plastica”. L’associazione italiana ha chiesto a Conte di revocare l’entrata in vigore, prevista a luglio, della tassa di 45 centimetri al chilo.

Ma sarà poi vero che la plastica è quasi un antidoto al virus? Gli studi sulla resistenza del virus sopra le diverse superfici non sembrano confermarlo: quelli più ottimistici parlano di 72 ore sopra la plastica, altri addirittura di 9 giorni. Quasi un record negativo. Il tessuto dei sacchi per la spesa, con il lavaggio, parrebbe più igienico. Certo, non ci sono garanzie che chi lo usa lo abbia lavato a dovere.

Una cosa però è riconoscere alla plastica un supplemento di vita pubblica, in una fase di emergenza, un altro immaginarla come spina dorsale dei consumi futuri. Beninteso, la questione dell’impatto ecologico è più spinosa di quel che appare: secondo le ricerche dell’ente danese e dell’ente britannico per la protezione ambientale -sommando tossicità, impiego di risorse e riuso- le sporte di polietilene sarebbero più sostenibili della carta, che richiede tra le risorse per crearla l’impiego fino a 70 volte in più di energia e fino a 17 volte in più di acqua per la carta rispetto alla plastica. Ma la questione dello smaltimento rimane insormontabile: se è ben noto il cumulo tossico creato dalla plastica tradizionale, mancano le prove che le bioplastiche si degradino completamente e che gli additivi utilizzati siano innocui.

La tassazione della plastica monouso ne ha notevolmente scoraggiato l’impiego: in Gran Bretagna si è ridotto dell’83%, in Irlanda è passata in un anno dal 5% dell’immondizia totale allo 0,13%. Una manna non solo per ragioni futuristiche: sta cessando per l’Occidente la facilità di spedire la sua immondizia plastica da un’altra parte. Era lo stesso periodo in cui cominciava a diffondersi l’epidemia a quindi la notizia è passata in secondo piano: a fine gennaio la Malesia ha rimandato ai loro paesi di origine (Stati Uniti, Francia, Canada) 150 container di rifiuti di plastica perché, secondo le parole del Ministro dell’Ambiente, “non vuole trasformarsi nella discarica del mondo”. D’altronde in un anno era passata a importare 139 mila tonnellate al mese invece di 22mila. Ha così allungato la lista dei paesi asiatici che hanno modificato la loro posizione, tra i quali rientra persino la Cina.

Nel 2020 avremo bisogno di plastica, e tanta sembra. Come ha scritto Il Foglio:”Il Covid-19 ci obbliga a ripensare ogni gesto, abitudine e comportamento nella prospettiva dell’igiene. Di conseguenza, il packaging (specialmente degli alimentari) e i prodotti monouso (a partire da posate, guanti, piatti e bottiglie) diventano tasselli centrali della “fase due”. D’altronde, proprio l’igiene – assieme ai vantaggi logistici legati a minori peso, ingombro e durata dei prodotti imballati – è una delle caratteristiche che hanno favorito una così ampia diffusione delle plastiche, in una varietà di utilizzi e in ogni paese del mondo. “

L’impatto ambientale delle plastiche deriva dalla loro dispersione nell’ambiente, specie marino, dove sopravvivono per secoli e possono seriamente compromettere gli ecosistemi. Già questa caratterizzazione ci aiuta a cogliere un elemento fondamentale: la questione delle plastiche non sta nel loro utilizzo o nel ciclo produttivo – che anzi è meno impattante rispetto a molte alternative – ma nel fine vita. Riguarda la raccolta e la destinazione dei rifiuti di plastica. Per dare una dimensione: dei 380 milioni di tonnellate che produciamo annualmente, circa il 3 per cento finisce negli oceani. Di questi, il 60 per cento viene dall’estremo oriente, l’11 per cento dall’Asia meridionale, il 3-4 per cento dall’Europa e l’1 per cento dal Nordamerica. Una altra cosa: un’analisi del ciclo di vita ha mostrato che, per battere la plastica monouso in termini di impatto ambientale, un sacchetto di cotone organico dovrebbe essere riusato almeno 20 mila volte, uno di cotone convenzionale oltre 7 mila volte, uno di carta 43 volte. Esattamente ciò che, nell’epoca del Covid, non possiamo permetterci

Il discorso potrebbe proseguire a lungo, e di sicuro va ammesso che al di là dei materiali sono le abitudini di consumo le principali responsabili dell’inquinamento ambientale. Nel frattempo però sarebbe auspicabile, e non solo in questo campo, che nessun settore industriale cercasse di fare del Covid19 una sensazionale occasione di profitto, per giunta mediante proclami roboanti e cancellazione della memoria scientifica.

di Nicola Dario

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