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A proposito di immigrazione, mutamenti sociali e identità cittadina. San Salvo come Londra?

Si è molto scritto nelle ultime settimane, anche in sede locale, sul tema dell'immigrazione dal Nord Africa e sulle politiche di accoglienza dell'Italia e dell'Europa, spesso con evidenti condizionamenti (di sinistra e destra,

di cattolicità e laicità) ma con scarsa considerazione dei contesti sociali e culturali.

Sono rimasto colpito, tempo fa, dall'analisi sviluppata su Londra e la Gran Bretagna da uno scrittore britannico il quale ha evidenziato le notevoli differenze economiche, sociali e culturali esistenti tra l'area metropolitana londinese e il resto del Paese. Questo perché Londra ha vissuto molto limitatamente la crisi del 2008/2014, avendo attratto capitali da tutto il mondo, in particolare dagli Stati Arabi, mentre la crisi ha segnato il resto della popolazione inglese. Risultato: nel 2016 quest'ultima ha votato la Brexit e Londra si è permessa di eleggere un Sindaco islamico.

Ho la sensazione che anche nel rapporto tra San Salvo e l'entroterra territoriale stia accadendo qualcosa di simile. Non solo e non tanto perché SIV e Marelli sono da tempo divenute Pilkington e Denso giapponesi quanto perché sono cresciuti molto, negli ultimi anni, gli investimenti di persone e aziende provenienti da altre regioni italiane e, soprattutto, da diversi Paesi europei ed extraeuropei. Un dato che riguarda peraltro l'intera Italia ma che si diversifica da zona a zona in base all'attrattività delle singole realtà urbane.

Dunque è vero che l'immigrazione dall'Africa non cambierà di molto lo scenario locale se non per l'innesto di nuove etnie e culture nel tessuto comunitario. E da quando abbiamo imparato a dire che San Salvo è un grande crocevia: economico, sociale e culturale, non ci siamo mai sbagliati, perché è così. La nostra cittadina è un ambito in cui cercare lavoro e fare impresa; dunque chi oggi è qui domani potrebbe essere in qualsiasi altro posto e viceversa. Ecco allora che discorsi generici del tipo: accogliamoli oppure respingiamoli gli immigrati  non mi dicono molto. E' la realtà che parla, i processi reali non possono essere bloccati, neppure con i muri, semmai governati, questo sì, almeno un poco (concetti, entrambi, recentemente espressi in un intervento di Vito Evangelista).  

Perciò l'unico discorso sensato che si possa fare è quello della legalità e insieme della sostenibilità dei flussi migratori. Il Sindaco Tiziana Magnacca ha correttamente impostato il problema (in occasione della conferenza stampa davanti al nuovo centro di accoglienza di Piana Sant'Angelo) quando ha detto che i flussi incontrollati che vanno ben oltre l'emergenza non possono essere passivamente subiti dal governo nazionale e dall'Europa, comportando anche costi aggiuntivi (per l'accoglienza e l'integrazione) non sostenibili da parte delle amministrazioni locali.

A mio parere stiamo assistendo ad una vera e propria nuova "tratta dei neri", con decine di migliaia di persone ogni anno ammassate in Libia, maltrattate, derubate dei risparmi quindi imbarcate su gommoni e vecchie carrette per poter essere "tratte in salvo" a poche miglia dalle coste libiche dalle navi delle organizzazioni statuali e umanitarie europee. E che poi vengono ammassate nei centri di accoglienza italiani dove a volte restano a lungo, talvolta più di un anno, in attesa di accettazione e riconoscimento dello status di profughi, alimentando un altro business, dai profili a volte chiari a volte occulti. In una realtà europea globalizzata ma non illegale questo non dovrebbe essere permesso perché esistono leggi e norme condivisi per i trasferimenti di popolazione. Se poi c'è un problema aggiuntivo per le cause di guerra o di guerra civile sono emergenze che vanno trattate come tali e che si esauriscono con il venir meno della condizione.

In questa vicenda hanno dunque fallito l'Europa e l'Italia ma anche le chiese. La Chiesa cattolica, ad esempio, aveva lanciato la campagna "accogliamo un profugo per ogni comunità". Bene, un'inchiesta giornalistica ha rivelato che il risultato di quella campagna è stato deludente. Quindi se non si è in grado di fornire buoni esempi non bisognerebbe neppure colpevolizzare il cittadino comune, come se tutto dipendesse da lui e dalla sua coscienza.

Tornando a San Salvo, il nostro è sempre stato un paese dell'apertura, dell'ospitalità, dell'accoglienza, della solidarietà. Lo storico londinese Andrew Salde, che a lungo ha vissuto a Vasto e che ha ben conosciuto San Salvo, 20 anni fa ha scritto di quest'ultimo:

"Avvenimenti lontani e gente di fuori hanno sempre condizionato decisamente la vita e la topografia di questo paese […], la cui caratteristica è nella sua esterofilia - caso raro nell'Abruzzo e nel Molise. San Salvo, come Termoli, è sempre stato un paese dell'immigrazione pertanto dotato di una popolazione più diversificata […]. Ancora oggi il paese è pieno di montanari e di loro discendenti mentre lavora nella sua zona industriale gente proveniente da Paesi extraeuropei oltre che da tutta l'Italia […]. Ciò ricalca perfettamente il duplice ruolo dei forestieri a San Salvo nel passato: Conti [Abati]e Generali stranieri comandarono e determinarono le sorti del paese mentre agricoltori più umili immigrarono come semplice manodopera dal mare e dai monti (Andrew Slade, Prefazione a "Documenti per la Storia di San Salvo", 1996).    

Quindi niente di nuovo sotto il sole mentre diventa reale il rischio che quest'ultimo fenomeno immigratorio attraverso il Mediterraneo si protragga e diventi strutturale, alimentando tensioni sociali e accrescendo il senso di precarietà e insicurezza collettiva. Perché è anche vero che molti giovani di San Salvo vanno a lavorare all'estero, che i lavoratori dipendenti in Italia sono sempre meno tutelati e che un accresciuto senso di insicurezza non aiuta a combattere la criminalità, un altro problema da non sottovalutare per il nostro territorio.

Mutamenti nella sfera socio-culturale a San Salvo si sono peraltro avvertiti persino alle ultime elezioni comunali. La volontà espressa dai votanti (pur nella presenza di due anomalie in campagna elettorale: la mancanza di una vera competizione tra candidati Sindaci e di una lista del Movimento 5 Stelle) ha spazzato via gran parte della vecchia classe dirigente di destra e di sinistra (un vero tzunami, come ha detto Rolando Cinalli e condiviso Orazio Di Stefano), ha permesso il successo delle donne sui maschi (sebbene con l'ausilio della nuova legge elettorale) e soprattutto ha detto che i nuovi comparti economici e sociali vogliono essere rappresentati anche in ambito politico-amministrativo. Dunque ne è uscita a pezzi la vecchia "salvanesità", quella della nostalgia ("Sande Salve belle") e dell'orgoglio ("So' de Sande Salve"). Fin qui, tuttavia, poco male, perché per me l'identità salvanese (che si arricchisce e rinnova continuamente) è fatta innanzitutto di etica del lavoro, di laicità, di solidarietà, di democrazia e di libertà. Pertanto, in un momento di grande liquidità sociale e politica, la vera sfida che ci aspetta è che San Salvo conservi i valori fondanti - valori che sicuramente sono decisivi anche per Londra - e che possa assurgere a riferimento per l'intero territorio nella legalità delle azioni. In caso contrario non solo non ne guadagnerebbe la qualità della vita in città ma verrebbero meno anche occasioni di incontro e di sviluppo, dunque prospettive di futuro per tutti.  

Giovanni Artese                                

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