Anche i Salvanesi pagavano il debito calandosi i pantaloni
Nei tempi passati, a San Salvo e in molti paesi abruzzesi, quando una persona non poteva pagare il debito (il numero cresceva smisuratamente nelle annate negative) erano problemi seri. Non sapeva a quale santo rivolgersi. Il creditore aveva due possibilità: denunciarlo alla giustizia o vendicarsi in modo plateale.
Le minacce erano continue, per cui il poveretto era costretto a cedere:” So dicèse, vàijë a lu tàmmuelë (Ho deciso, vado a sedermi sul tomolo). Il tomolo era di pietra e aveva la forma del tomolo (recipiente di legno che conteneva Kg 55 di cereali). Era posta al centro di piazza San Vitale. Il poveretto dopo aver seguito la Messa domenicale celebrata nella chiesa di San Giuseppe, raggiungeva il tomolo, si calava i pantaloni, e dopo aver mostrato il culo denudato doveva sedersi tra le invettive, smorfie e derisioni della gente sempre numerosa. Vi rimaneva fino a quando l’ultimo persona lasciava la piazza. “Andare al tomolo” significava calarsi le brache. Il debitore poteva solo dire:” Nin tinghë addrë” (non ho altro). Non finiva lì. Quando attraversava le strade, i paesani lo tenevano sempre d’occhio:” Quess è stàtë a lu tàmmuelë (Quello è stato al tomolo). Da quel momento il debito veniva cancellato. Infatti i creditori non potevano più perseguitarlo. Ancora oggi si dice: a méss lu cùle a lu tàmmuele (ha messo il sedere sul tomolo). Oggi, per fortuna, la “ pena” del tomolo è stata cancellata dal codice penale, altrimenti con la crisi che attanaglia le famiglie…
Michele Molino