1966-2016 Cinquant’anni fa Aldo Moro a San Salvo
SAN SALVO | Cinquant'anni fa, esattamente il 5 dicembre 1966, Aldo Moro giungeva in visita a San Salvo e alla Siv (Società italiana vetro), dove avrebbe inaugurato il grande stabilimento del vetro,
realtà industriale assunta a promessa di sviluppo e di cambiamento per la nostra cittadina come per tutto il circondario.
Avevo 15 anni, e ricordo vagamente la visita del Presidente del Consiglio al Municipio di San Salvo, che le foto di allora restituiscono con l'atmosfera gioiosa e stupita di una popolazione - fondamentalmente contadina - che accoglieva un uomo decisivo nelle scelte politiche dell'Italia del tempo. Ho un'immagine del picchetto militare schierato nella piazza (poi Giovanni XXIII) e del seguito di Aldo Moro. Ricordo invece con più nitore il successivo ingresso nello stabilimento Siv e la visita ai reparti interni, con le maestranze all'opera e le diverse fasi della lavorazione del vetro osservate da vicino: una visita rimasta unica, che mi permise di comprendere la complessità e l'importanza di un investimento, iniziato nel 1962/63, che cominciava a dare i primi frutti in termini di produttività, di mercato, di occupazione e persino di innovazioni socio-culturali.
Aldo Moro sarebbe poi rimasto sempre attivo nello scenario politico italiano; e l'avrei osservato anche da posizioni diverse o critiche ma sempre rispettato per quella umiltà, quello spirito di servizio che lo caratterizzava e che pochissimi altri politici o parlamentari, allora come ora, possiedono. Uno statista, insieme a De Gasperi e Fanfani, capace non solo di gestire la ripresa e il boom economico dell'Italia del secondo dopoguerra ma anche le fasi di assestamento o di difficoltà successive attraverso una linea politica - improntata alla democrazia sociale - che, salvaguardando gli interessi delle imprese, non dimenticava mai le esigenze e gli interessi delle classi lavoratrici. Un partito, il loro, non solo interclassista ma insieme populista quanto basta, fedele all'identità ma sempre aperto al rinnovamento e all'alleanza anche con forze politiche diverse allo scopo di garantire la governabilità e la crescita del Paese.
Nel 1968-69 Aldo Moro ebbe il coraggio di convocare gli studenti in rivolta per capirne direttamente le ragioni, di accogliere le istanze sindacali che avrebbero portato la classe operaia italiana ad una dignità, economica e politico-culturale, mai raggiunta in precedenza e dopo.
Gli anni Settanta furono difficili; nel 1975/76 si temette per una vittoria comunista in Italia, in un momento in cui la Democrazia Cristiana mostrava i limiti della conflittualità interna e dello smarrimento dei principi. Furono ancora Moro e Zaccagnini a prendere in mano il partito e a innescare il rinnovamento, attraverso una difficile opera di ricostruzione innanzitutto di una coerenza nei comportamenti e di un recupero dell'identità. E i risultati si videro, fino al quel drammatico 1978, a quel 16 marzo 1978, quando un commando brigatista - non sappiamo ancora con la complicità di chi - attaccò e uccise la scorta di Moro per rapire lo statista.
I giorni della prigionia di Aldo Moro furono per l'Italia e per la San Salvo di allora tra i più terribili della storia repubblicana. La sfida assurda delle Brigate Rosse, che si sommava alle resistenze americane nell'apertura al PCI (il cosiddetto "compromesso storico") e alle deviazioni di settori e apparati dello stato, avrebbero portato ad un clima di tensione e di sospetti, con conseguente paralisi della dialettica politica; nonché ad un crescente isolamento dello stesso Moro. Anche a San Salvo il fronte politico si spaccava, tra sostenitori della trattativa per liberare Aldo Moro (PSI, estrema sinistra e frange cattoliche) e i sostenitori del rigore (DC-PCI). Intanto lo statista o meglio l'uomo in carcere cominciava a scrivere "lettere" che i detrattori ritevano condizionate dallo stato di coercizione ma che ponevano a tutti questioni reali e assunzioni di responsabilità. Ai brigatisti aveva già fatto capire che pensare di aver preso "il cuore dello Stato" era stato un clamoroso errore, in quanto l'attività politica quotidiana consisteva nel tenere insieme parlamentari e politici provenienti da tutte le province d'Italia, un vero mosaico di interessi, ognuno con le proprie posizioni, richieste e pretese. Ai suoi amici e colleghi chiedeva di fare tutto il possibile per salvargli la vita, in quanto azione non in contrasto con la salvezza dello Stato (d'altronde un Moro "liberato" non avrebbe più contato politicamente). Ma la ragionevolezza non prevalse e il 9 maggio 1978 Moro venne ritrovato cadavere nel bagagliaio di un'auto in via Caetani.
Come ha recentemente rivelato la "Commissione bicamerale d'inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro" (istituita nel 2014) la moglie Eleonora, nelle settimane precedenti il rapimento, lo aveva avvertito ripetutamente dei gravi rischi che stava correndo, anche di morte; ma non ottenne ascolto. Lo stesso Moro se ne era reso conto, a causa di avvertimenti, lettere anonime, telefonate equivoche e altri segnali; tuttavia, pur chiedendo misure adeguate per proteggere meglio la sua scorta non ritenne di doversi tirare indietro nei suoi impegni politici e istituzionali. Perciò la sua morte finì per produrre inevitabilmente degli effetti. Come ha scritto vent'anni dopo Pietro Scoppola, "sta di fatto che la fase successiva [alla scomparsa di Moro] segna un battuta di arresto e arretramento sino alla crisi del sistema politico".
Per me i terribili giorni del rapimento Moro segnarono l'abbandono della politica militante, avendo compreso allora che non solo l'ipotesi rivoluzionaria era stata sconfitta nel nostro Paese ma insieme anche quella autenticamente riformista, e che l'Italia sarebbe rimasta il luogo dei compromessi e dei trasformismi, un Paese dove i leader - piuttosto che responsabilizzare - avrebbero dovuto cercare il consenso con mediazioni al ribasso e promesse più o meno illusorie.
Sarei tornato alla politica attiva soltanto nel 1998 ma con una consapevolezza nuova, cioè che la società e lo Stato non si cambiano con i proclami, le false speranze e i favori personali bensì con un'azione fatta di piccoli gesti di coerenza, di solidarietà e di libertà, gocce che in determinati momenti possono diventare torrenti e fiumi in grado di rinnovare un poco anche l'acqua degli oceani (la grande politica).
Ed è questo, penso, lo spirito sostanziale della filosofia di Aldo Moro che già nel 1945, in un suo intervento affermava: "La vita non è un riposo, è una cosa seria, impegnativa e responsabile in ogni suo aspetto. L’esperienza politica, ed ogni altra che sia umana, si nutre del pensiero libero, del contributo autonomo, in una parola della suprema e nobile fatica di essere se stessi". Un messaggio che va ben oltre quel momento, che anzi arriva diritto fino a noi perché ci tocca insieme come persone e come cittadini, di questa Italia e del Mondo.
Giovanni Artese
(Assessore alla cultura)