Ci vorrebbe un libro per descrivere la vita tormentata del bizzarro ciclista molisano Cesare Irace (Pracendène). Cesare, alla soglia degli 80 anni, abita ancora nella periferia di Monterero di Bisaccia con sua moglie. Da bambino, in pochi anni, perse sei fratelli, uno dopo l’altro. A soli sette anni gli fu affidato dal padre una piccola mandria di buoi.
Mentre rincorreva una volpe, incespicò ad un ordigno bellico, perfettamente intatto, che deflagrò. Restò tre giorni sommerso dalla terra. Fu un signore che passava di lì a farlo uscire. A 16 anni nacque in lui la passione per il ciclismo. Sognò che il padre per il suo compleanno gli regalava una fulgida bicicletta da corsa. I suoi genitori non navigavano nell’oro, quindi furono costretti a vendere l’unico cavallo che avevano. Il padre nascose i soldi sotto un materasso. Il figlio Cesare di soppiatto prelevò il denaro e andò a comprare una fiammante bicicletta da corsa al negoziante salvanese Confucio Ciavatta. Il padre, appena se ne accorse, si adirò così tanto, che afferrò un bastone per dare una lezione al figlio. Non riuscì a rintracciarlo, in quanto Cesare era andato a nascondersi tra i rami di una quercia. La madre gli riforniva fette di pane farcite con la ventricina e il formaggio. Cesare dopo qualche mese cominciò a prepararsi per le corse. Andava forte in bicicletta. Un gruppo societario gli offrì un corposo contratto. In una gara era in testa ad un gruppetto di fuggitivi, ma scivolò sull’asfalto e precipitò in un burrone, riportando fratture multiple alla testa e la perdita dei sensi. Gli fu somministrata perfino l’estrema unzione. Ma fu graziato, e un pò alla volta cominciò a ristabilirsi. Lesse su giornale che a Bari si sarebbe disputata una gara con ricchi premi per i vincitori. La mattina, sotto una pioggia torrenziale, partì in bicicletta da Montenero. Arrivò appena in tempo alla partenza. Vinse. Dopo qualche anno, però, perse ogni interesse per il ciclismo. Si chiuse sempre di più in se stesso. Una volta ripresosi, si mise a fare il pugile. Vinse cinque incontri per KO e poi si dedicò al podismo. A Bergamo giunse primo. Tornò a Montenero di Bisaccia. Si innamorò follemente di Maria. Dopo un mese di fidanzamento, si sposarono. Ebbe tre figli. Per sbarcare il lunario s’improvvisò muratore. La lontananza dalle gare gli causò un’ansia costante. Mise su 30 chili. Dopo una rigorosa dieta, tornò alle corse. A Santa Croce di Magliano finì a terra, battendo la testa. Venne trasportato all’ospedale in gravissime condizioni. Dopo una ventina di giorni, cominciò a muovere le braccia. “Fai celebrare una Messa”- gli disse il primario del nosocomio. Uscì dall’ospedale dopo tre mesi, ma non abbandonò la bicicletta. Il carattere un po’ bizzarro gli ha impedito di diventare un vero campione.
Michele Molino