Il fenomeno sociale delle 5 Stelle visto da Vasto
VASTO | Il candidato premier del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, è stato a Vasto ieri sera ed ha tenuto un comizio al cinema Ruzzi, dove è arrivato dopo essere stato a Pescara per la presentazione dei punti programmatici del suo eventuale governo.
Accompagnato da cinque senatori, è stato accolto dai consiglieri comunali, Marco Gallo e Dina Carinci, dai consiglieri regionali, Sara Marcozzi e Pietro Smargiassi, ed ovviamente dal senatore Gianluca Castaldi. Di Maio ha tenuto il suo discorso per circa un’ora davanti ad un uditorio attento ed entusiasta di circa mille persone (se è vero che il Ruzzi ne contiene cinquecento, a cui vanno aggiunti altrettanti che stavano in piedi all’interno o fuori dal Politeama). La presenza di tanta gente ha fatto dire a tutti gli oratori, in attesa del capo politico, di essere emozionati. Emozione che, peraltro, traspariva in questi “ragazzi” (così si autodefiniscono) partecipi e protagonisti di un fenomeno sociale e politico, che in soli cinque anni li ha portati a far parte del primo partito italiano o comunque di una forza politica che raccoglie da un quarto ad un terzo dell’elettorato. Si tratta di una percentuale che il potentissimo Psi di Craxi non è mai riuscito a raggiungere, come pure l’ An di Gianfranco Fini. Simili obiettivi erano stati raggiunti solo dalla Dc, ma con la benedizione di Santa Romana Chiesa, e dal Pci di Berlinguer dopo trent’anni dal partito nuovo di Togliatti. Meglio di loro solo Berlusconi, in grado in soli tre mesi di raggiungere il 21% con la sua Forza Italia, ma aiutato dall’inchiesta Mani pulite che aveva inquisito, arrestato o comunque azzerato la classe dirigente in carica. Come sia possibile che un “ragazzo” di 31 anni possa aspirare alla premiership alla testa di un movimento che otto anni fa manco esisteva lo si comprende da ciò che è emerso anche al Ruzzi: diversità dalla casta, che incassa stipendi e vitalizi, al contrario di loro che ci rinunciano, finanziando imprese e turbine; rinuncia ai privilegi, tanto che Di Maio può dire di aver tenuto per cinque anni la (sua) auto blu di vice presidente della Camera nel garage del Parlamento; umiltà, che fa dire a Smargiassi: “Io per Luigi sono Pietro e lui per me è Luigi”; senso dell’appartenenza al popolo, che fa gridare a Castaldi: “Loro hanno i petrolieri e le banche e noi la forza del popolo”. La forza del popolo, come la “forza popolare” cantata da Pierangelo Bertoli in Rosso colore. Una canzone che il compianto cantautore cantava quando il senatore vastese aveva solo quattro anni e che forse manco conosce. E’ inoltre probabile che costoro neanche sappiano che la diversità che propugnano (“tra noi e loro”) è più o meno la stessa che evocava il Pci negli anni ottanta. Insomma, sti ragazzi usano tematiche e linguaggio cari alle forze di opposizione ed ai Movimenti (come loro ancora si autodefiniscono). Ma Francesco Alberoni ha dimostrato che tutti i Movimenti si istituzionalizzano, perdendo le caratteristiche originarie. E succederà anche alle 5 Stelle, soprattutto se andranno al potere. Del resto se questo è accaduto ai cristiani (che, dopo i primi martiri delle origini, hanno creato la Chiesa del potere temporale), figuriamoci se M5S non perderà in futuro la peculiarità rispetto a quei partiti, che hanno brutalmente occupato lo Stato. Tuttavia, se è noto che il potere “abbruttisce”, è altrettanto vero che ci sono meccanismi, regole e scelte che rallentano l’abbruttimento o che comunque trasmettono almeno un po’ di pudore. Per esempio, la Dc, allorquando si allontanava troppo dal comune sentire popolare, creava leader onesti, schivi, non boriosi, che le servivano per ricostruire il rapporto con l’elettorato: Moro, Zaccagnini o Martinazzoli. Il problema di oggi è che i partiti hanno perso anche il pudore, oltre che la fiducia degli elettori, tanto che neanche tentano di presentare leader percepiti come persone perbene. Anzi, quando lo fanno riescono a vanificare i propri sforzi. Per esempio, nel centrosinistra la bella immagine di Gentiloni è vanificata dalla Lorenzin e dai suoi cinque partiti messi sul simbolo o dalla candidatura di Casini a Bologna o dall’accordo Bonino-Tabacci. A destra, l’ottantunenne Berlusconi, ricostruito con la chirurgia plastica, vanifica la freschezza giovanile (sul piano comunicativo) di Giorgia Meloni. E speriamo che tale offuscamento non raggiunga LeU, che ha saputo presentare un uomo integerrimo come Piero Grasso. In questo panorama, i 5 Stelle sono i più normali, i più seri e soprattutto i meno legati ai privilegi della casta.
Ods
Ps Una collega che con me ha seguito Di Maio a Vasto mi ha detto, forse per sfidarmi: “Ti è facile fare l’analista sociale per valutare il comportamento elettorale degli altri. Ma il tuo ?”. Le ho promesso che le avrei risposto con questo editoriale: a quaranta giorni dal voto ritengo apprezzabile il tentativo delle 5 Stelle per una politica pulita. Speriamo che esso possa stimolare un generale rinnovamento della classe dirigente, oggi notoriamente scollegata dalle ragioni del popolo.