SAN SALVO | Sonia Granatello, col suo post sul Carnevale spostatosi nei centri commerciali, ha “involontariamente” stimolato questo editoriale, che non vuole essere minimamente una critica a qualcuno, ma solo una riflessione pubblica sulla evoluzione delle abitudini cittadine.
Tutti sanno che si creano in qualunque contesto attività, anche recondite, che servono a mantenere la coesione di un gruppo. Il pranzi di Natale, che sono esclusivi della famiglia (tanto è vero che si dice “Natale coi tuoi, Pasqua con chi vuoi”) servono a mantenere la coesione famigliare. La funzione sociale delle religioni (a parte quella puramente spirituale) è stata sempre quella di fare “coesione sociale” tra gli abitanti di un posto, tanto è vero che il luogo di culto è posto generalmente al centro di un abitato e, per secoli, la domenica tale luogo è stato meta di tutti ed unica occasione di incontro di tutta la comunità (e nella società agropastorale occasione dei maschi per “scegliersi” le femmine, ove consentito). I centri cittadini sono dei luoghi di coesione sociale e, come tali, delle costruzioni sociali. Infatti, variano col mutare dell’evoluzione delle comunità. Così come la società è stata in grado di far nascere tali centri, essa è in grado di farli sparire o spostarli. A San Salvo, in centro ci si va quotidianamente per il Comune, per i medici e la farmacia, per la scuola elementare, per le attività commerciali, per il mercatino in alcune mattine e per i bar (per gli habitues di questi esercizi pubblici). Ci si va pure: per l’ abitudine a passeggiare (tutte le sere alcuni di alcuni maschi adulti, il sabato sera di alcuni preadolescenti, la domeniche sera di alcune famiglie); per le feste storiche (San Vitale e le sagnitelle); in occasioni sporadiche più o meno partecipate (notte bianca, eventi estivi e natalizi, eventi culturali alla Porta de la terra). Si capisce dal quadro predetto che la costruzione sociale complessiva della frequentazione del centro cittadino dipende da più attori: pubblici, finché gli amministratori decidono di tenere aperto il Comune e le scuole o di organizzare eventi culturali e festivi nella piazza centrale o alla Porta de la terra; privati, finché imprenditori commerciali e professionisti decidono di tenere aperti farmacia, ambulatori, negozi e bar in centro o di organizzare eventi culturali e festivi nella piazza centrale o alla Porta de la terra. Le azioni sociali di questi attori possono dipendere: dallo scopo (economico per i commercianti o politico per gli amministratori); dal valore (la tradizione di fare eventi in centro, perché si è sempre fatta, come San Vitale); da ragioni simboliche, ritenendo che in centro un evento assuma rappresentatività generale). Ma la tenuta del centro cittadino come luogo di coesione può dipendere anche da azioni non sociali ovvero azioni di singoli cittadini, che privatamente, perché lo trovano più interessante o logisticamente più pratico, vanno in un centro commerciale a passare la domenica o il Carnevale, se ben organizzato lì. L’ azione di recarsi in centro per il Carnevale (che Sonia richiamava nel post) è un azione sociale e non privata, che singoli cittadini mettono in atto per ragioni affettive: l’aver fatto sempre lì il Carnevale diventa una istituzione tradizionale ripetibile. Ho voluto fare questa dissertazione (che sicuramente avrà scocciato qualcuno) per dimostrare ancora una volta che il problema è complesso in quanto dipende dalla interrelazione di più attori e più fattori sociali. Chi scrive va (quasi) tutte le sere a fare la passeggiata in centro; ha il medico ed il macellaio in centro; organizza il Premio San Vitale alla Porta de la terra (e non al centro culturale) ed ha aderito all’invito dell’ Amministrazione comunale (e di Osvaldo Menna) di organizzare una tappa finale del Prodotto topico a metà luglio in centro. Dunque nessuno può dirmi che non sono legato al centro. Ma se vogliamo che esso torni a fare coesione sociale dobbiamo capire che tale coesione è un’azione complessa, interdipendente da più attori e multifattoriale. E come tale va trattata e gestita. Il limite di questa discussione è pensare che dipenda da una sola parte e non tutte messe insieme. Perché il centro torni luogo di coesione ci vuole uno (ma chi?) in grado di stimolare, per pure ragioni affettive, tutti gli attori pubblici e privati, affinché a comprendano che, se il centro diventa un non luogo, la città non ha più cuore.
Ods
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