SAN SALVO | E’ stato presentato all’ Herzog Bar sansalvese il libro di Giacinto Zappacosta, “Conchiglie sparse”, pubblicato con Aletti editore. La presentazione, moderata da Marco Di Michele Marisi e magistralmente introdotta da Nicolangelo D’ Adamo,
è durata un paio d’ore e sarebbe andata ben oltre se il moderatore non avesse stoppato la lunga e stimolante discussione che si era aperta. La regista Maria Pagano, una delle presenti in sala, ad un certo punto ha detto: “Ma come fa ‘sto libro a contenere tutte ‘sti argomenti?”. In effetti, l’originalità di “Conchiglie sparse” è proprio questa: contenere in poco meno di cento pagine la vita dell’autore, in cui si intrecciano fatti privati e vicende storiche, poesie che “diventano” voce fuori campo ed eventi, che possono essere messi in scena, di cui è già scritta la scenografia.
Insomma, per quanto “piccolo” il testo, esso può considerarsi una “grande” opera: l’autore, in modo sintetico, scorrevole e stimolante, riesce a farci ricordare vicende storiche come quelle locali di don Felice Piccirilli, che “benedisse” don Silvio Ciccarone nell’ Amministrazione Faro-comunista a Vasto, anticipando di dieci anni il compromesso storico e l’episcopato di Loris Capovilla, con umili visite agli scolari del tempo. E senza dimenticare le vicende storiche nazionali come il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, i mondiali di calcio (col il mitico Italia – Germania 4 – 3), l’elezione di Giovanni Paolo, il terremoto dell’ Irpinia ed il primo vero “cazziatone” alla classe politica di Sandro Pertini… E qui mi fermo, perché bisogna leggerlo il libro, per tornare indietro nel tempo, anche ai primi approcci adolescenziali (“mano nella mano e fughe in bici”), con le prime cottarelle, che, nel caso di Giacinto, avevano approcci originali…in lingua greco-antica, studiata al classico.
Ma l’autore non si limita a raccontare: riesce ad esprimere anche le sue “posizioni etiche”, condannando l’aborto, l’eliminazione dei crocifissi dalle scuole e la palese “ignoranza” lessicale che avanza con l’avanzare della società liquida.
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Conosco Giacinto da sempre. Suo nonno era il cugino di mia nonna. Mio padre, come tutti i fresani, quando andava a Vasto, non poteva non passare alla puteche de Zi Nicole, il generoso nonno a cui Giacinto anche nelle “Conchiglie” chiede venti lire. Per un periodo, nei primi anni ottanta, Giacinto, Nino e Nick venivano ogni settimana da Vasto per “andarci a fare una pizza” in quattro e parlare di politica che era (ed è) la passione comune. Nino ed io di sinistra, Giacinto di centro e Nick alquanto indipendente eravamo identici nella nostra diversità ideologica, perché appartenenti alla stessa generazione: quella che avrebbe preceduto i nativi digitali e che era succeduta a chi aveva conosciuto gli orrori della guerra ed aveva, quindi, l’ unica volontà di uscire dalla miseria e di non farla conoscere a noi, figli del boom economico.
In fondo, Giacinto è stato spinto a scrivere “Conchiglie sparse” per lasciare ai nostri figli una testimonianza di come eravamo solo qualche decennio fa. E per farsi comprendere ha giustamente usato uno stile che davvero scorrevole e che può anche essere messo in scena, per andare su you tube, che è come le nostre audiocassette, ricordate in “Conchiglie”. Credo che un testo del genere se dagli adulti dev’essere letto per ricordarci di come eravamo, dagli studenti dovrebbe essere letto nelle scuole e messo in scena. Mi adopererò in tal senso, perché le nuove generazioni vanno stimolate a conoscere come erano diversi genitori e nonni alla loro età…solo qualche decennio fa…quando avevamo ancora il gusto di trovare “conchiglie sparse sull’arenile scosceso che l’onda fumosa accarezza e stravole”, al posto di stare a trovare cose virtuali sugli smart phone.
Orazio Di Stefano
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