Lu Fóche de Sande Tumuássë a San Salvo (20/21 dicembre). Un evento arcaico sempre ripetuto
E’ ormai evidente che anche Il fuoco sacro di San Salvo, del 20/21 dicembre, detto Fóche de Sande Tumuássë, ha origini molto lontane appartenendo senz’altro alla consolidata tradizione dei falò del solstizio d’inverno.
Per le popolazioni ad economia agro-pastorale dell’Antichità e del Medioevo, i fuochi rituali (‘ndocce, fuóche Sande, farchie, smrcke ecc.) costituivano momenti propiziatori sentiti, strettamente legati ai cicli delle stagioni e della natura. Alcuni studiosi sottolineano l’importanza del 20/21 dicembre per la religione italica. Quella data era dedicata ad Angizia (Anaceta Kerríia), dea della “strozzatura”, del passaggio, della morte ma insieme della fertilità, e segnava simbolicamente la transizione dalle tenebre alla luce, dalla morte del chicco di grano alla nascita del nuovo germoglio. Il 20/21 dicembre è infatti la notte più lunga dell’anno, che però dal dì seguente andrà progressivamente riducendosi fino al solstizio d’estate. Anche nel mondo romano quel momento dell'anno era legato a rituali religiosi. I Saturnalia (che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre) prevedevano offerte di doni e feste (perfino orgiastiche) in onore di Saturno, perché il dio proteggesse la seminagione e favorisse l'abbondanza dei raccolti. Riti di passaggio e di rinnovamento avrebbero portato infine in Occidente e Italia sia il culto di Mitra (fine I sec. a.C. - I sec. d.C.) che del Sole Invitto (II-III sec. d.C.).
Lu Fóche de Sande Tumuássë, presenta analogie con diversi fuochi della terra di confine tra basso Abruzzo e Molise. La legna per la combustione, una volta si raccoglieva con la “cerca” tra i cittadini oppure era donata per devozione da una parte di essi. Si trattava di legna di quercia, olmo, olivo, salice e altre essenze, talora integrata da fascine, sarmenti di vite, canne, una mescolanza tipica dei fuochi sacri ma - come ha scritto Ignazio Emanuele Buttitta - capace di riunire intorno al falò “quartieri o un’intera comunità”.
E’ poi un fuoco che viene benedetto dal sacerdote; pertanto risulta - come quasi tutti gli altri -, da tempo immemorabile pienamente “cristianizzato”. Tra l’altro, quando, nella notte del 20/21 dicembre 1745, le reliquie di San Vitale martire giunsero da Roma a San Salvo, il fuoco era acceso e illuminava la piazza antistante la chiesa di San Giuseppe. Questo fatto avrebbe creato le premesse perché Lu Fóche de Sande Tumuássë assumesse in seguito una doppia valenza: di fuoco propiziatorio e di evento a ricordo dell'ingresso a San Salvo dell'urna contenente le spoglie di San Vitale, nuovo patrono della città.
Emilio Ambrogio Paterno ha inoltre confermato (in riferimento agli anni ‘30/’40 del Novecento) che anche a San Salvo la mattina dopo, cioè all’alba del 21 dicembre, esisteva la consuetudine popolare di andarsi a prendere, sui resti del fuoco, carboncelli e tizzoni. Un atto utile non solo ad accendere o alimentare il focolare domestico ma soprattutto propiziatorio, perché beneaugurante per le attività della famiglia durante il nuovo anno agrario.
Da quanto è risaputo, l’attività del fuoco è stata spesso accompagnata da spari, bevute di vino, canti e musiche popolari e, ultimamente, anche dalla cottura di salsicce alla brace. Al proposito, un quadro vivace e realistico ci è pervenuto dall’arciprete di S. Giuseppe Ferdinando Persiani, in una lettera (del 25 novembre 1838) all’arcivescovo di Chieti:
“In questa chiesa, alli 21 dicembre di ciascun anno, dopo una novena, si celebra la festa della traslazione del Corpo di S. Vitale martire, principale protettore di questa Terra. E siccome si crede per tradizione e per iscrizione apposta sotto il Sacro deposito, che il nominato Sacro Corpo fosse giunto nella notte tra il 20 e il 21 Dicembre 1745, così alla metà della notte comincia il suono della campana, che dura per tre o quattro ore, e si sparano molte fucilate. Poiché le ore della notte precedente al suono delle campane, si passano dalla maggior parte in divertimenti e a mangiare, e più ancora a bere smodatamente, il suono delle campane è il segnale di uscire nella piazza e per le strade pubbliche a sparare fucilate e a girondolar per il paese. Mi pare quindi che non più si celebra con cristiana allegrezza la memoria della traslazione del Corpo del Santo Protettore, ma piuttosto le orgie di Bacco; mi pare che non si voglia onorar Dio e il suo Santo, ma il Demonio. Vi è sempre poi il pericolo che nasca altri gravi disordini in mezzo a molte persone riscaldate dal vino e armate”.
Nonostante le analogie, il fuoco sacro di San Salvo presenta tuttavia una diversità, una particolarità che lo differenzia dagli altri del territorio considerato. E’ Il solo infatti che brucia nella notte del 20/21 dicembre, per cui si può definire certamente un falò del solstizio d’inverno (è non a caso detto Fóche de Sande Tumuássë) ma non un Fuoco di Natale. Questi ultimi sono accesi nella notte del 24/25 dicembre (ad esempio a Bagnoli, Chiauci, Civitanova, Pescolanciano, Poggio Sannita, Dogliola, Petacciato) e portano appunto il nome di Fuóche de Natale, Fuóche de la Vigilia de Natale, Fóche Sande e alludono esplicitamente all’evento della nascita del Bambino.
Purtroppo non abbiamo documenti per capire se questa data è stata sempre la stessa oppure sia stata modificata in occasione di un evento storico. Al proposito possiamo dunque solo avanzare due ipotesi: la prima, che il nostro sia un fuoco legato ad un altro giorno comunque rituale per il calendario italico e romano (il 21 dicembre); la seconda, che alcuni secoli fa (prima del 1745) il nostro fosse un Fuoco di Natale e che in occasione dell’arrivo delle reliquie di San Vitale sia stato anticipato e riportato al solstizio invernale effettivo (quello del calendario gregoriano subentrato al calendario giuliano alla fine del Cinquecento).
Un mistero che rimarrà a lungo se non riusciremo a trovare documenti probanti una delle due ipotesi o persino una terza possibilità. Resta il fatto che Lu Fóche de Sande Tumuássë , nonostante le inevitabili innovazioni prodotte dall’evolversi delle civiltà nel tempo, costituisce ancora oggi un momento identitario importante per la nostra collettività, poiché lega indissolubilmente passato e presente e permette ai salvanesi di fermarsi un attimo, come davanti ad uno specchio, a riflettere per ritrovare se stessi e, con ciò, la indispensabile fiducia nel futuro.
San Salvo, 18.12.2017 Giovanni Artese