Nel primo e nel secondo dopoguerra, nei Paesi in cui si votava, la comunicazione politica veniva fatta nelle piazze. Grandi oratori (tali erano anche dittatori come Mussolini
ed Hitler, tanto che quest’ultimo arrivò al potere dopo aver vinto le elezioni del ’33, mentre il Duce fu incaricato dal Re di formare il nuovo Governo dopo la Marcia su Roma e nonostante avesse preso solo il 10% alle elezioni precedenti) costruivano il proprio consenso in piazze, in cui si raccoglievano folle oceaniche, echeggiate da un nuovo strumento di comunicazione, che al tempo era la radio. Più tardi arrivò la tv, in cui storici confronti iniziarono a determinare i risultati delle presidenziali negli Stati Uniti. In Italia, invece, il piccolo schermo inizialmente fu appannaggio delle forze di Governo, prevalentemente della Dc e ne ha determinato i risultati. L’opposizione continuava a crescere elettoralmente, perché usava le piazze. La cosa durò almeno fino all’arrivo di Berlusconi, non tanto perché le possedeva le televisioni, ma soprattutto perché le sapeva usare, mixate coi sondaggi che gli consentivano di sintonizzarsi con il popolo. Ora c’è internet. Il fenomeno sociale che certifica l’effetto del web nella comunicazione politica sono stati da noi i 5 Stelle da noi ed oltreoceano Obama, con la vittoria di otto anni fa. Come hanno fatto i grillini ad arrivare alla forza del Pci e (quasi) della Dc senza cinghie di trasmissioni sindacali e senza il clientelismo ? L’hanno potuto fare perché hanno avuto la rete. Senza entrare nei contenuti e nella validità o meno dei rispettivi messaggi, è certo che il messaggio politico berlusconiano non sarebbe passato senza le tv di Mediaset ed è altrettanto certo che il messaggio politico grillino non sarebbe passato senza facebook. Cosa sono facebook ed i social ? Sono delle piazze virtuali dove ciascuno dice ciò che vuole. La qual cosa rende la comunicazione politica bidirezionale, nel senso che se i fan di un leader del secolo scorso potevano solo applaudire (in un comizio) o compiacersi a casa (ascoltando radio o vedendo la tv) ora un fan può anche interloquire e farsi sentire, se non dal leader quanto meno da altri come lui, che mettendo i like gli esprimono consenso, gli suscitano autostima e lo incoraggiano a continuare. Per cui uno può esercitare il proprio senso dell’appartenenza ad un movimento e sentirsi partecipe alla stessa democrazia dalla sua poltrona di casa, anzi dal suo wc col proprio smartphone. Questo cambia tutto, perché se è vero che le grandi banche, le grandi multinazionali, i cosiddetti poteri forti dispongono di reti televisive e giornali è altrettanto vero che le opinioni le costruiscono molto meno che nel passato, poiché sarebbe impossibile controllare tutto ciò che passa su internet. Ad essere populisti non sono Salvini o Lepen, ma le nuove tecnologie. Pensare che il consenso si ottenga per i posti di lavoro o le cosiddette marchette clientelari (che peraltro oggi sono quasi impossibili e possono riguardare numero molto esigui di potenziali ruffiani) è demenziale. Forse ciò può succedere ancora nei piccoli centri, ma non certo nelle medie e grandi realtà, altrimenti non si capirebbe la debacle campana del No, dove si era speso un governatore potentissimo come De Luca. Dunque, le leadership di oggi devono capire che la comunicazione e, dunque, lo stesso consenso politico sono cambiati. Oggi non fa opinione e non piglia i voti chi non buca la rete, come quindici anni fa chi non bucava lo schermo e come settant’anni fa chi non sapeva fare i comizi. Ma solo la comunicazione non è sufficiente, perché c’è poi bisogno di un messaggio politico che passi e quindi di risultati una volta al potere. Quelli del primo Obama, del primo Renzi e dello stesso D’ Alfonso passarono perché promettevano semplificazione, umiltà nell’approccio col potere e risultati successivi. I messaggi, ben comunicati, ottennero consensi velocemente, facilmente e plebiscitariamente, perché furono appunto veloci e facili. Ma altrettanto velocemente e facilmente si sono poi offuscati, insieme alle immagini dei proponenti, i quali, diventati uomini di potere, hanno mostrato diversità con ciò che avevano detto prima. I leader, per non passare dalle stelle alle stalle così velocemente, dovrebbero saper conciliare il potere, i suoi riti e le sue dinamiche, coi risultati “veri” da mandare on line. Paolo Gentiloni, arrivato terzo alle primarie di Roma, saprà farlo ? Sobrio e leale quanto si vuole, difficilmente saprà mettersi in linea col popolo della rete su cui passa il consenso. Per questo ho molti dubbi che dopo il Governo “amico” ci sarà la vittoria elettorale del PdR (partito di Renzi), già chiamato ad affrontare un forte recupero d’immagine dopo una sonora sconfitta.
Ods