L’ultima Direzione del Pd è stata seguita da Enrico Mentana con una diretta televisiva. Basti questo a farci comprendere l’importanza della decisione dell’altro ieri.
Del resto è evidente l’interesse della stampa e del Paese per il partito che è il centro del sistema: in pratica ciò che furono Forza Italia (’94-2013), la Dc (’48-’76), il Psi (’76-’91). Se si sfalda il Pd non vinceranno altre forze del sistema (che non ci sono più, Berlusconi è di fatto alleato di Renzi), ma vinceranno le forze antisistemiche (Grillo, Salvini, Meloni), che ovviamente simpatizzano con le forze del populismo consolidatesi con la Brexit, con la vittoria di Trump e con Marine Le Pen, che potrebbe mettere a segno un altro colpo (mortale) per l’Europa se ad aprile dovesse vincere in Francia. Il Pd, tuttavia, sembra non tenere e quindi prossimo a una scissione. Questo, almeno, è ciò che raccontano gli esponenti della minoranza (Bersani e D’Alema).
Tuttavia, è chiaro che si stanno mettendo in moto forze mediane, per evitare la rottura del principale partito italiano. Le scissioni sono sempre dolorose, ma ci sono sempre state nella sinistra: le più importanti furono quelle del ’21 (del Pci dal Psi), del ’47 (del Psdi dal Psi), del ’69 (del Manifesto dal Pci) del ’91 (di Rifondazione dal Pds). Alcune di queste non hanno cambiato solo i destini della sinistra, ma dello stesso Paese. Quella che si profila, se mai sarà, è importante almeno quanto quella del ’21 e del ’47. La prima ci avvicinò al fascismo; la seconda ci aiutò a rimanere nel campo occidentale, anche se già ci era stata la svolta di Salerno, con la scelta togliattiana di confluire nella democrazia.
Sul piano personale le scissioni procurano traumi e danni alle relazioni amicali e parentali come dimostrano molti casi che non starò qui a ricordare. Persone in carne e ossa sono chiamate a fare scelte dolorose e non sarà sufficiente sfogare i propri conflitti interiori su giornalisti e politologi, che hanno l’ingrato compito di fotografare e studiare gli eventi.
Peraltro un’eventuale scissione “capita” nel pieno della campagna elettorale amministrativa, in cui gli scissionisti dovranno decidere se stare nelle liste del Pd o farne altre e se farle in alleanza o in competizione, cosa che ovviamente genererà ulteriori conflitti nelle personalità degli attori.
Per tutti questi motivi politici, umani, amministrativi e relazionali ci auguriamo che Bersani e D’Alema restino nel Pd. Ma questo purtroppo dipende da Matteo Renzi, che è un "azzardatore" di professione.
Ods