La campagna elettorale al tempo di facebook
Per capire come sia diversa la campagna elettorale al tempo di facebook bisogna preliminarmente ricordarsi (o spiegare a chi non l’ha vissuta) come erano le campagne elettorali quando facebook non c’era.
Ovvero quando colui che voleva far sapere che era candidato poteva solo far stampare i manifesti. Se poi voleva far conoscere come la pensava, doveva fare dei comizi. Se voleva chiedere voti, doveva portare i santini casa casa. E se voleva sapere come la pensavano gli elettori, doveva farsi un giro per le piazze o per i mercati. Con facebook (sembra che) non c’è più bisogno di manifesti: basta cambiare l’immagine del profilo con foto e simbolo della lista; non c’è più bisogno di comizi: basta farsi intervistare e postare il video; per sapere come si è giudicati dagli elettori, basta contare i like ricevuti. Con facebook (per estensione con internet) anche questa nostra campagna elettorale è diversa, anzi strana. Tuttavia, non bisogna farsi ingannare dalle apparenze e dalle novità: non sempre tutto ciò che è moderno, on line, comunicativamente innovativo porta voti o dà senso democratico-partecipativo ad una grande ritualità civile e democratica come la campagna elettorale. Non è detto che portino voti quei supporter di uno schieramento che inveiscono su facebook contro un candidato o un esponente dello schieramento avversario. Non è detto che portino i personaggi noti ed apprezzati nel panorama teatrale o comunicativo che lavorano (nel senso letterale) per un candidato. Non è detto che porti voti fare il 20 maggio 2017 (cioè a 22 giorni dal voto) la cerimonia per l’intestazione di luoghi cittadini a personaggi scomparsi, quando la delibera è del 15 febbraio 2016 e l’autorizzazione dell’autorità di Governo è del 14 ottobre del 2016. Non è detto che porti voti ritoccare le immagini dei manifesti con photoshop. Non è detto che porti voti il voler apparire per quel che non si è. Probabilmente, tutte queste “stranezze” o le innovazioni (rispetto al passato) non sono neanche tutte pensate e fatte per la spasmodica ricerca dei voti. Sicuramente, questa c’è. Ma si accompagna o è fortemente determinata dalla volontà di apparire, che è la prima esigenza della società dell’immagine. Interessa poco ciò che si comunica o ciò che si manda all’esterno, l’importante è che lo si faccia. Offendere pubblicamente (su un social l’offesa è pubblica, come se fosse in piazza, perché viene vista da tanta gente) abbruttisce la comunità, ma lo si fa comunque, un po’ perché ci si sente finalmente parte di uno schieramento diventato vincente (cosa che dà autostima per appartenenza)… prima non lo si poteva neanche fare, chi schiamazzava durante un comizio veniva arrestato. Teatralizzare al massimo la comunicazione politica può far perdere di vista i contenuti, ma lo si fa perché bisogna farsi conoscere come se si trattasse un prodotto pubblicitario o una merce qualsiasi. Intestare luoghi a personalità scomparse in piena campagna elettorale può offuscare la memoria stessa di chi non c’è più, ma lo si fa con la stessa logica con cui nel passato si asfaltavano le strade a pochi giorni dal voto. Di fronte a tutto questo cosa dire ?
Noi ci permettiamo di parafrasare ciò che diceva Lucio Dalla a proposito del capodanno: “l’anno che sta arrivando, fra un anno passerà”. Attenzione: “l’elezione che sta arrivando, fra ventidue giorni passerà”. Chi ferisce la comunità con offese, trucchi, strumentalizzazioni elettorali di ogni genere, lascia ferite che non si rimargineranno con facilità. Chi applica (spregiudicatamente) il vecchio adagio: “Fatta la festa, gabbato lo Santo”, ricordi anche un altro proverbio, ben più saggio: “Scherza coi fanti, ma lascia stare i Santi”. E questo vale sempre…anche al tempo di facebook. Anzi soprattutto al tempo di facebook.
Ods
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