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"Di quanta pazienza disponiamo?"

Scritto da Sansalvomare

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"Di quanta pazienza disponiamo?"

Sono tempi poco inclini per un racconto specifico. Il Coronavirus ha fatto esplodere la consapevolezza che il mondo interconnesso in cui viviamo è un “mondo fuori controllo”.

La percezione ormai diffusa è che ci troviamo di fronte a rischi che non possono essere limitati dal punto di vista spaziale, temporale o sociale. La grammatica della politica (ma non solo) si sta dimostrando obsoleta e inefficace. ll virus è pericoloso e mortale, e questo è un fatto; tanti hanno perso dei cari a causa sua, e tanti hanno famigliari malati e tremano per loro; tantissimi altri poi, come medici e infermieri, rischiano la vita ogni giorno per combatterlo. Mettendo però da parte un attimo questo orrore, la situazione che si è venuta a creare nella vita di ciascuno di noi ha dei lati che potremmo dire interessanti.

Innanzitutto, perché si tratta di qualcosa che davvero nessuno avrebbe potuto immaginare, e questo, a fronte del noioso tran-tran che a volte ci ingabbia, è interessante. È anche sorprendente ritrovarsi sbalzati, dentro una quotidianità “altra”, dove a imperare sono regole non scelte da noi. A causa di questa terribile pandemia siamo costretti a confrontarci con un modo di vivere diverso dal solito, ma all’interno di questo confine possiamo ridisegnare una giornata differente nella quale trovare ragioni di felicità e di bellezza. È fin troppo ovvio citare la creatività tutta italiana dei concerti dai balconi, della tombola alla finestra (che a me, personalmente, danno fastidio); ciascuno si confronta con il muro che ha davanti e per una volta, in modo persino didascalico, impara a fare i conti con quello che è e con ciò che ha dentro, misura la forza del suo pensiero, la capacità di adattamento, il potere della sua fantasia.

Di quanta pazienza disponiamo davvero, a quanto sangue freddo, a quanta razionalità possiamo attingere? A quanto coraggio?

È molto interessante questa conta solitaria, un esercizio a cui nella nostra epoca 3.0 nessuno più era minimamente avvezzo. La prigionia nelle abitazioni, ci regala il tempo della riflessione, dello scavo, della coscienza. Vestiti da casa, in pigiama, in tuta, ci guardiamo: ma chi c’è davvero davanti allo specchio per dire. Io però, di questi tempi, non mi isolerei, ma cercherei di contaminarmi nel pensiero. Ne abbiamo il tempo. Qualche esempio di contaminazione? E allora sapete perché le sequoie si chiamano così? Riprendono il nome di Sequoyah, l’uomo a cui sono state titolate per rendergli omaggio dell’impresa straordinaria che lo vide protagonista. Sequoyah era un sanguemisto: metà nativo americano (sua mamma era una Cherokee) e metà tedesco. I nativi americani erano impressionati dalla scrittura occidentale: le lettere di corrispondenza erano state battezzate “foglie parlanti”. Quando Sequoyah disse che voleva inventare un linguaggio Cherokee per leggere e scrivere, tutti gli risposero che era un’idea ridicola. Ma lui non rinunciò: il suo non appartenere del tutto a un unico popolo fu la sua forza. Non osservava gli occidentali con diffidenza, ma con curiosità, in quanto in parte lo era.

Così, dopo 12 anni, presentò un sillabario costituito da 85 caratteri, semplice da imparare al punto che in appena 12 settimane migliaia di Cherokee furono in grado di leggere, il che fornì lo stimolo alla comunità per fondare The Cherokee Phoenix, il primo giornale dei nativi americani. Noi sappiamo giocare con l’immaginazione in modo sfrenato. Facciamolo in questi giorni!!Kurt Cobain, leader dei Nirvana, quando fece uscire l’album Nevermind del 1991, generò una musica che contaminava elementi distanti tra loro: un suono grezzo che ripescava dal punk sonorità ruvide e semplici, linee melodiche orecchiabili che strizzavano l’occhio ai Beatles, e testi dal sapore cantautorale che, a differenza del folk-storytelling, dove il maestro incontrastato era Bob Dylan, sfruttava lo stile cut’n’paste (“taglia e incolla”) in voga tra gli scrittori della beat generation, quali jack Kerouac e William Burroughs. Nessun algoritmo di intelligenza artificiale sarebbe riuscito a ricreare a tavolino una novità del genere: accostamenti arditi e spericolati, che rispecchiano le capacità creative umane al loro massimo

Nel mondo sta emergendo una capacità cruciale: sapersi muovere tra discipline e culture diverse tramite una nuova forma di interdisciplinarietà, che contraddistinguerà i protagonisti del futuro e che, con un neologismo, vengono chiamati “contaminati”. Nell’era dell’algoritmo, infatti, l’iperspecializzazione sarà un limite, perché la migliore iperspecialista di sempre è l’intelligenza artificiale. Entro il 2020 la Finlandia, uno degli Stati con il miglior sistema educativo al mondo, abbandonerà la tradizionale suddivisione in “materie” dell’insegnamento. D’ora in poi, si studieranno singoli temi, affrontati da un punto di vista economico, geografico, artistico ecc. La questione, d’altronde, è all’ordine del giorno nel dibattito culturale. Contaminato per eccellenza, infatti, fu il nostro Leonardo: per assemblarne uno, oggi, servirebbero 13 specialisti. Ma non serve per forza essere geni del Rinascimento.

di Nicola Dario

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