Questa non è un'analisi del voto
Questa non è un'analisi del voto. Quello che voglio commentare è a che punto si trova il Partito Democratico nella sua metamorfosi, che in parte e per un certo periodo è riuscita a salvarlo da morte certa. Nella direzione di domani si capirà quale strada
si vuole prendere, una volta per tutte.La morte del Pd comincia con la crisi: come per ogni partito socialista, il declino comincia quando fattori economici generali rendono impossibili le garanzie sociali. È infatti nei momenti di crisi che si presenta una certa divaricazione tra i diritti civili ed i diritti sociali. Il PD a guida renziana ha scelto di puntare su temi come l'innovazione tecnologica, le unioni civili, l'integrazione europea, la globalizzazione e più in generale una narrazione ottimistica delle trasformazioni dell'economia e della società contemporanea. In tempi di vacche grasse, tutto bene, ma nel nostro tempo i ceti più poveri si sentono minacciati dagli effetti negativi di questa trasformazione e non percepiscono più il PD come un partito in grado di ascoltare le loro istanze. Questo rischia di vanificare l'aspirazione ad essere un grande partito di massa a vocazione maggioritaria: bisognerebbe riuscire a conciliare l'attenzione ai ceti più dinamici della società con la capacità di comprendere e sostenere chi rimane indietro. Ma come si fa quando non ci sono soldi?
Il tentativo manifesto dei governi Renzi Gentiloni è stato quello di riuscire ad attrarre capitali dall'estero e mostrare in Europa una faccia affidabile, con al tenuta dei conti, ma senza riuscire ad abbassare significativamente il debito pubblico. Quello che di certo non hanno fatto è stato illudere i cittadini con promesse facili e sguaiate, né accontentare la parte più populista e conservatrice del Paese. Esiste, infatti, un modo di affrontare la crisi del lavoro che comprenda il mantenimento dello status quo così come lo abbiamo conosciuto a partire dagli anni sessanta? È certamente vero che i lavoratori hanno perso molte delle loro tutele a partire dalla fine degli anni novanta, con Marco Biagi, Tiziano Treu e l'introduzione del lavori interinale e che è preoccupante la frequenza con cui aziende chiudono o spostano le sedi produttive dove trovano costi inferiori. Ma è giusto, in nome della paura di perdere diritti propri, sacrificare i traguardi raggiunti in campo civile e che ci hanno permesso di raggiungere i Paesi più avanzati, affidando l'Italia alle destre?
Quello che più mi turba, è che una intera classe sociale, un pezzo di sinistra, sia passata tranquillamente a votare due schieramenti (entrambi vincenti a discapito del PD) che hanno promesso di abolire leggi che la sinistra voleva introdurre da anni e che hanno visto la luce in questo quinquennio (unioni civili, testamento biologico), partiti che mostrano aperta ostilità (per non dire razzismo) verso immigrati e rifugiati, che sono apertamente antiscientifiche a discapito talvolta anche della salute pubblica (no vax).
In nome di cosa? Possono essere loro, quelli che sono andati verso destra, ad additare il PD ed accusarlo di non essere più di sinistra?
Prendiamo il jobs act: la sua filosofia d'insieme dice che nell'impoverimento generale sono compresi anche coloro che molti chiamano ancora "padroni": in Italia ci sono per la maggior parte di aziende piccole e piccolissime. Se queste vivono l'assunzione di personale come una spesa troppo onerosa, è ovvio che assumeranno meno e più persone resteranno senza lavoro. D'altra parte sono stati aboliti molti tipi di lavoro atipico e alcune categorie che non erano tutelate, ora lo sono.
Questo però non convince i vecchi detentori di diritti che individuano nel jobs act l'origine di tutti i problemi del mondo del lavoro ("Renzi ha distrutto l'Italia"). Ma non sarà certo l'abolizione della legge a riportare il mondo del lavoro al suo antico splendore, perché essa è effetto e non causa della crisi economica. Ma anche in questo caso, sembra legittimo ad alcuni sacrificare i diritti altrui per i propri.
Un discorso simile, ma per me più deplorevole, vale per i dipendenti pubblici, che hanno in buona parte abbandonato il centrosinistra per abbracciare il M5s e la Lega. A fronte di una certa sicurezza sul lavoro, quello che si rimprovera ai governi uscenti è di aver fatto concreti tentativi per trasformare il settore da zavorra a locomotiva e ad operare un turnover della macchina amministrativa in senso migliorativo delle professionalità. Insegnanti ed impiegati hanno preso molto male la risoluzione del governo di andare a controllare l'efficacia del loro operato o di volerli destinare dove c'è effettivamente bisogno. Hanno preferito chi del loro ruolo non ha fatto mai neanche menzione, e anche dopo scandali come quello dei cartellini continua ad allisciargli il pelo per avere voti. Scuola, studenti ed utenti in generale, si arrangino.
In questo quadro generale si determinano i due principali fenomeni che sottraggono voti al partito: i vecchi elettori sono insoddisfatti dalle soluzioni individuate dal Governo e si rivolgono a forze politiche che non si fanno scrupoli a promettere l'impossibile (reddito di cittadinanza, flat tax ed espulsione di tutti gli immigrati); una parte del partito si scinde, con la speranza di recuperare il voto dei lavoratori.
La posizione dei nostri ex compagni migrati a sinistra non è ovviamente sbagliata da un punto di vista ideologico, ma è vittima di un preconcetto fatale, è cioè che operai e lavoratori siano intrinsecamente di sinistra. In realtà, questi hanno seguito ed in parte anche costituito la sinistra per molti anni, addirittura decenni, fino a quando sono stati "ultimi". Ma l'arrivo di nuovi ultimi dopo di loro gli ha fatto cambiare idea sul fatto che nella società tutti, ma proprio tutti, debbano essere aiutati. A partire dagli extracomunitari fino alla classe media impoverita ma priva dei paracaduti sociali (commercianti, liberi professionisti, edili), i lavoratori garantiti e tutelati, non hanno mai mostrato solidarietà verso nessuna classe che non fosse la loro, tranne che in una percentuale molto piccola, che è infatti quella che ha votato a sinistra. Tutti gli altri hanno votato per un populismo che gli promette, essenzialmente, soldi e protezione contro i nuovi ultimi.
Quello che viene spontaneo osservare è che queste classi vadano recuperate. Ciò su cui Pd renziano e forze di sinistra non sono d'accordo è il metodo. Il Pd tende ad una visione di ricaduta della ricchezza a partire da un generale arricchimento generato dall'apertura a settori produttivi, modalità innovative del lavoro, quattro punto zero ecc., a chiacchiere bellissimo ma che lascia scontenti coloro che, a ragione, hanno bisogno di un aiuto economico immediato.
Il progetto degli altri è ancora più confuso: apriamo, ascoltiamo, restituiamo dignità e diritti, ma non si è capito con quali soldi.
Per tornare all'argomento, errori ci sono stati, sono stati per difetto e di origine strutturale.
L'azione di Renzi è stata pasticciata e talvolta inconsapevole (una sindacalista a capo della scuola, santo cielo!), intrapresa da un carattere guascone, irritante e di perenne sfida. La resistenza che ha incontrato è stata di una violenza inedita e straordinaria, che ha travalicato da subito i limiti politici per buttarsi sul personale.
Un altro grande errore è stato trascurare l'aspetto territoriale, cioè aver permesso l'esistenza di piccoli dirigenti locali che per pigrizia, incompetenza o interessi divergenti, non hanno fatto da intermediari tra i cambiamenti che si producevano ai vertici (vedi l'ostilità di interi circoli al Referendum Costituzionale) e quello che arrivava alla base. Che infatti non ha capito e si è allontanata.
Ciò non toglie che l'Italia sotto la sua guida di Renzi e Gentiloni abbia fatto passi avanti enormi: tutti passi che però non appassionano la maggioranza dell'elettorato, interessato solo ad istanze sociali, ma non civili, e quindi un elettorato essenzialmente di destra che mostra particolare insofferenza verso la cultura, la competenza e i diritti che non lo riguardano personalmente. Per questo quando sento dire che il segretario dice che ha perso voti non per colpa sua ma per colpa degli elettori, in parte gli do ragione, perché ha fatto molti sbagli, ma se voti a destra vuol dire che la destra ti va bene. Nemmeno io ho una situazione economica felice, ma certo non voto chi fa promesse assurde di ricchezza e riscatto contro neri ed omosessuali!
Ora tutti vogliono la sua testa, non perché abbia perso le elezioni (sai cosa gliene frega a giornalisti ed esponenti di altri partiti se il PD perde voti), ma perché subìto come corpo estraneo dalla sinistra e dalla politica intera, dove la palude alimenta l'indignazione e l'indignazione alimenta reazionari e manettari. La sua è stata una liquidazione tutta mediatica.
L'unica, difficilissima, ai limiti dell'impossibile, strada è quella di voltare completamente pagina e trovare il coraggio e gli argomenti per rivolgersi a quel circa 45% della popolazione che non ha votato M5s o Lega, ma neanche Leu o Potere al Popolo, e che sono quelli che si leccano le ferite per essere stati abbandonati in un modo che va a tremila, mentre gli enti pubblici vogliono moduli compilati a mano.
Questo è il punto in cui si trova il PD. Cosa deciderà di fare ora che Renzi è andato via? Continuerà sulla strada del riformismo, o tornerà sui suoi passi insistendo a voler recuperare coloro che lo hanno abbandonato? Ed in quest'ultimo caso, chi raccoglierà coloro che avevano sperato in una modernizzazione del paese ed un adeguamento dei sistemi produttivi ed occupazionali?
Sta tutto nella volontà dei vertici. La base, per quello che ho capito, ha già scelto votando questo preciso PD come lo vediamo ora. Potrei sbagliarmi, ma se realizzassero il famoso PD "derenzizzato" che tutti, fuori dal PD non vedono l'ora di sbranare, si ritroverebbero con un guscio vuoto, senza visione, ma soprattutto senza elettori.
Come dicevo, la mia non è un'analisi del voto. Non perché non ne abbia una, ma perché preferisco condividerla coi diretti interessati, cioè coloro che hanno sinceramente a cuore il miglioramento delle condizioni del PD. La ritualità vuole che i dirigenti di sinistra (quasi sempre) perdenti. si presentino al pubblico cosparsi di cenere per prendersi gli insulti di chi a fare autocritica non ci pensa mai.
Non credo nello striptease politico a cui si sottopongono masochisticamente alcuni miei compagni di partito, lo trovo avvilente, tradisce mancanza di fiducia in se stessi e finisce con l'essere sempre un balbettio sconclusionato e per la maggior parte insincero. E non credo a coloro che avendoci insultato fino al giorno prima del voto ora si mostrano preoccupati di quanti voti perderebbe il PD in caso di ritorno anticipato alle urne, perché non è in grado di fare "autocritica".
Silvia Di Virgilio