Al calar della sera, la porta principale del nostro borgo antico veniva chiusa con una grossa catena di ferro. Tuttavia, i briganti e i malfattori riuscivano ugualmente a penetrare all’interno della cerchia muraria. S’infilavano attraverso un passaggio segreto (acquedotto romano?) e carponi s’introducevano nel borgo.
Di solito, facevano uno spuntino e poi giocavano a carte e alla morra nella taverna di Angelo Fabrizio, dov’è lo studio tecnico di Pietro Fabrizio adiacente al bar di Osvaldo Menna. Gli abitanti di San Salvo stavano in silenzio, temendo di essere vittime dell'ira dei briganti. Vitale Fabrizio abitava insieme ai suoi numerosi figli nelle vicinanze della chiesa San Giuseppe. Aveva la stalla e un camerone da cui partivano il servizio di trasporto passeggeri con carrozza trainata da 4 cavalli per Roma e Napoli. La famiglia di Vitale Fabrizio (carruzzire) stanca di sopportare le angherie e le crudeltà dei briganti, decise di mettere finalmente fine. Una notte, una banda di briganti, appiccò il fuoco al portone della stalla della casa dei “Fabrizio”. Ai primi bagliori delle fiamme, i componenti saltarono giù dal letto e cominciarono a sparare all’impazzata. I briganti resistettero al fuoco, ma vista la mala parata fuggirono di corsa lungo la disciàse de la fànd (Fontana Vecchia). All’improvviso qualcuno della famiglia Fabrizio gridò con forza:”Li carruzzire ‘ndè pahìhure de li brihènde. Un’altra notte, successe che tre o quattro briganti stavano per uscire dalla taverna; Vitale e i suoi figli si appostarono dietro il parapetto del balcone armati di fucili; pronti perfino a compiere una strage. Il capo famiglia fece cenno di no col capo e i briganti poterono scampare alla morte certa. Vitale pagò un caro prezzo per il suo coraggio. Una mattina mentre zappava nel suo terreno della “Forma vecchia” due briganti lo freddarono a colpi di fucili da caccia. I Salvanesi possono vantarsi di avere un eroe.
Michele Molino